Il disco spesso: un residuo “fossile”

della formazione della Galassia

 

 

Nella nostra Galassia, la Via Lattea, e in molte altre galassie a spirale, oltre al disco stellare principale al quale appartiene il nostro Sole, è presente anche un secondo disco spesso, una popolazione stellare formata da stelle molto vecchie (10-12 miliardi di anni) e che rappresenta un residuo “fossile”  delle fasi iniziali di formazione delle galassie.

      Esaminando le posizioni, le velocità e la composizione chimica di 27 mila stelle della nostra Galassia entro 3000 parsec dal piano galattico, gli astronomi dell'Inaf presso l'Osservatorio Astronomico di Torino hanno scoperto l'esistenza di una correlazione fra la velocità di rotazione delle stelle del disco spesso e la loro composizione chimica: le stelle ricche di elementi chimici pesanti ruotano più velocemente di quelle povere.

     Questo risultato è importante per capire perchè la nostra Galassia contiene due dischi stellari, uno sottile e uno spesso, e come essi si siano formati. Inoltre, aiuterà a comprendere meglio quale ruolo abbiano giocato i processi di accrescimento gerarchico previsti dal modello cosmologico CDM (Cold Dark Matter), rispetto ai naturali meccanismi di evoluzione dinamica interna dei sistemi stellari.

 

 

Le stelle che vediamo in cielo di notte appartengono praticamente tutte al disco della nostra galassia: la Via Lattea che ci appare come una tenue striscia lattiginosa lungo le direzioni di maggior profondità, ma che in realtà è composta da un insieme di "innumerevoli stelle disseminate a mucchi",  come le descrisse Galileo Galilei dopo averle osservate al telescopio per la prima volta.

     E, in mezzo alle 200 miliardi di stelle del disco, vi è anche il nostro Sole,  posto a metà strada circa fra l'estremità e il centro galattico, attorno al quale si muove impiegando ben 250 milioni di anni per fare un giro completo. Un periodo assai lungo, nonostante il Sole percorra la sua orbita alla velocità "astronomica" di 230 chilometri al secondo (oltre 800 mila chilometri all'ora), sfrecciando nello spazio fra una stella e l'altra insieme alla Terra e agli altri pianeti del sistema solare.

       La velocità non è però uguale per tutte le stelle: alcune ruotano un po' più velocemente e altre più lentamente. In particolare, un cospicuo gruppo di stelle girano ad una velocità significativamente inferiore di 170 km/s, in media.  Sono queste le stelle del cosiddetto disco spesso, una struttura formata da stelle con un'età di 10-12 miliardi di anni, oltre due volte più “vecchie” del Sole,  che costituiscono la popolazione stellare di disco più antica, ben distinta dal disco sottile, al quale appartiene anche il nostro Sole e ricco di gas da cui ancora oggi si formano nuove stelle.

      Il disco spesso rappresenta quindi una componente “fossile” di un'epoca in cui la Via Lattea stava prendendo forma e, proprio per questo, ci offre un'opportunità unica per esaminare e comprendere i processi di formazione ed evoluzione della nostra Galassia e ... delle galassie in generale.

       Infatti, sebbene il disco spesso nella nostra Galassia sia stato scoperto da G.Gilmore e N. Reid ormai quasi trent'anni fa e altri dischi spessi siano stati osservati in molte galassie a spirale, purtroppo non è ancora del tutto chiaro in che modo essi si siano formati.

Secondo il modello cosmologico “standard” di formazione gerarchica CDM (Cold Dark Matter) esisterebbero infatti diversi meccanismi in grado di produrre un disco spesso.  Ad esempio, la “caduta” di una piccola galassia satellite lungo un'orbita opportuna su un disco galattico pre-esistente   darebbe luogo a un generale aumento di energia cinetica delle stelle,  che quindi si “gonfierebbero” producendo un disco spesso.  Ma, secondo M.G. Abadi e C.B. Brook, dischi spessi si possano formare anche per accrescimento di stelle e gas proveniente da galassie nane satellite catturate, che erano presenti in gran numero proprio nelle fasi iniziali di formazione delle galassie.

    Tuttavia, altre teorie suggeriscono che un disco spesso potrebbe originarsi anche per la naturale evoluzione dinamica di una galassia a spirale. Le sofisticate simulazioni numeriche di R. Roskar e R. Schönrich mostrano infatti che le perturbazioni gravitazionali generate dai bracci di spirale transienti di una galassia  inducono una migrazione radiale delle stelle,  spostandole dalle regioni centrali del disco e dal bulge,( il nucleo sferoidale della galassia) verso la periferia, dove si aggiungono alle stelle native del disco sottile ma che, rispetto a quelle, si muovono sino distanze due o tre volte superiori dal piano galattico, dando così l’impressione di costituire un secondo disco spesso.

 

     Nel 2009 il gruppo di astrometria dell'Osservatorio Astronomico di Torino ha concluso un progetto di ricerca, finanziato dall'Inaf e coordinato da Alessandro Spagna, finalizzato proprio a studiare la natura del disco spesso della Via Lattea. A questo scopo, sono state selezionate 27 mila stelle di tipo solare osservate su 9000 gradi quadrati, quasi un quarto di tutto il cielo, e appartenenti al disco e all'alone galattico.   Successivamente, attraverso il database GSC-II, contenente misure ripetute di posizioni che risalgono fino a 50 anni fa, sono stati calcolati con grande accuratezza i moti propri stellari che, una volta combinati con i dati spettroscopici e fotometrici provenienti dal catalogo SDSS - Data Release 7, hanno permesso di determinare  posizioni, distanze, velocità e composizione chimica di tutte queste stelle.

   L'analisi di questo grande campione ha permesso una nuova misura di come si distribuiscono le velocità di rotazione di queste stelle al variare della loro distanza dal piano galattico e, soprattutto, ha portato alla scoperta di una correlazione fra la composizione chimica e la velocità di rotazione del disco spesso.  In pratica, le stelle più ricche di elementi chimici pesanti ruotano più velocemente di quelle con una composizione chimica più povera. Per esempio, le stelle tipiche di disco spesso che hanno un'abbondanza di ferro e altri elementi pesanti non superiore al 25% di quella presente nel nostro Sole, ruotano mediamente a 180 km/s,  mentre le stelle che hanno appena il 10% di elementi pesanti rispetto al Sole girano a circa 150 km/s.

       Questi risultati sono descritti in dettaglio in una Lettera pubblicata recentemente sulla rivista Astronomy & Astrophysics (Vol. 510).  Alessandro Spagna commenta così questa inaspettata scoperta: “La correlazione osservata fra metallicità delle stelle e velocità di rotazione costituisce una proprietà fondamentale del disco della nostra Galassia e offre un importante elemento di confronto con le previsioni dei recenti modelli dinamici di formazione galattica.”  Infatti, la correlazione trovata potrebbe confermare che l'evoluzione naturale delle popolazioni stellari svolga un ruolo più incisivo rispetto ai fattori esterni considerati in passato. “E' verosimile, tuttavia”, continua Spagna,  “che non esista un modello univoco, un'unica “ricetta”, che dia origine ai dischi spessi, ma che piuttosto i vari fattori “ambientali” legati ai processi di accrescimento gerarchico che dipendono dal contesto cosmologico si vadano a combinare, in modo diverso per ogni galassia, con i meccanismi di evoluzione dinamica interna dei sistemi stellari.”

      

       Tradizionalmente, i processi di formazione ed evoluzione delle galassie rientrano nel campo di ricerca dell'astronomia extra-galattica che studia le proprietà delle galassie esterne.   Questo genere di osservazioni  oggi è  diventato molto più semplice grazie ai moderni telescopi terrestri e spaziali che producono immagini di galassie anche molto deboli ed estremamente lontane nelle spazio e quindi ... indietro nel tempo. Abbiamo quindi immagini del passato che possiamo esaminare come fossero vecchie “fotografie” di galassie giovani.

        Ma oltre a ciò, adesso possiamo imparare molte altre cose anche osservando la nostra stessa Galassia e le compagne del gruppo locale delle quali possiamo risolvere le singole stelle che le compongono e studiarne in dettaglio le distribuzioni spaziali e di velocità, assieme allo loro composizione chimica ed età.  Si tratta di una nuova branca dell'astronomia, la cosiddetta local cosmogy,  che si occupa di popolazioni stellari molto antiche, come il disco spesso e l'alone galattico, proprio come abitualmente fanno gli archeologi o i paleontologi che vanno alla ricerca di resti di antiche civiltà o di fossili di animali scomparsi.

      “L'astrofisica galattica e la local cosmology sono campi al momento in forte espansione”, ci dice Mario G. Lattanzi, responsabile Inaf della partecipazione italiana in Gaia, la missione astrometrica dell'ESA che verrà lanciata nel 2012 per osservare un miliardo di stelle della nostra Galassia, delle quali fornirà posizioni, moti propri e, soprattutto, distanze da parallassi trigonometriche precise al centomillesimo di secondo d'arco, ovvero 10-100 volte migliori di quelle prodotte dalla precedente missione spaziale Hipparcos e di quelle ottenibili da Terra. “Gaia”, aggiunge Lattanzi  “è una “macchina” costruita per capire come si è formata la Via Lattea, di cui risolverà ad un livello di dettaglio mai raggiunto prima, le popolazioni stellari di bulge, di alone e di disco, che costituiscono le componenti principali delle galassie. In particolare il catalogo di Gaia consentirà di verificare ed eventualmente di confermare la nostra scoperta con un grado di fiducia di almeno un ordine di grandezza superiore.

 

 

 

 

 

 

 

 

Useful links:

l        Articolo:         http://es.arxiv.org/abs/1002.0074

l        Inaf-OATo:     http://www.oato.inaf.it/

l        GSC-II:          http://gsss.stsci.edu/Catalogs/GSC/GSC2/GSC2.htm

l        SDSS:             http://www.sdss.org/

l        Gaia:               http://www.rssd.esa.int/index.php?project=GAIA&page=index

l        Great:             http://www.ast.cam.ac.uk/GREAT/index.html

 

Riferimento:

 

Dott. Alessandro Spagna

email: spagna@oato.inaf.it