Cristalli di magnesio. E in abbondanza. Ecco come viene descritto il sottosuolo di un esopianeta dall’ultimo studio della Carnegie Insitution e firmato dai ricercatori Sergey Lobanov, Nicholas Holtgrewe e Alexander Goncharov. Appena pubblicata da Scientific Reports, la ricerca suggerisce che l’interno di pianeti rocciosi, in orbita attorno a stelle lontane, possa essere completamente diverso da quello cui siamo abituati sulla Terra.
Tutta un’altra chimica: l’ossigeno e il magnesio sono i due elementi più abbondanti nel mantello terrestre, ma possiamo ipotizzare che sia lo stesso per tutti i pianeti rocciosi che si trovano al di fuori del Sistema Solare? Forse no.
Le stelle che contano pianeti rocciosi in orbita, e che già conosciamo, variano anche significativamente per composizione chimica. Questo suggerisce che anche la composizione interna dei loro pianeti sia diversa da quella cui siamo abituati. Ad esempio, contenuti elevati di ossigeno sono stati osservati in stelle che ospitano pianeti rocciosi: questa caratteristica potrebbe aver inciso in modo determinante sulla formazione dei cristalli che ne compongono il mantello.
Il magnesio, oggetto dello studio della Carnegie Institution, sotto processi di forte ossidazione dà origine a cristalli in grado di resistere anche a pressioni piuttosto elevate. Il perossido di magnesio può essere riprodotto in laboratorio ma risulta estremamente instabile quando riscaldato, condizione che necessariamente si verifica nel mantello di un pianeta roccioso. Per capire se la sua formazione fosse dunque possibile gli scienziati hanno cercato di ricreare in laboratorio le condizioni interne di un esopianeta aumentando a dismisura temperatura e pressione.
Il risultato è affascinante: sotto una pressione pari a 950.000 volte quella atmosferica e a una temperatura superiore ai 2.000 gradi kelvin l’ossido di magnesio reagisce con l’ossigeno formando perossido di magnesio.
«I risultati suggeriscono che il perossido di magnesio potrebbe essere quindi estremamente abbondante negli esopianeti rocciosi che andiamo scoprendo», spiega Sergey Lobonov, primo firmatario dello studio. «È quindi importante che nello sviluppo di ipotesi circa la composizione di pianeti extrasolari, gli scienziati partano da un altro modello di chimica».