Uno degli eventi più potenti e misteriosi che l’Universo possa regalarci è senza dubbio l’espulsione di un buco nero dalla sua galassia ospite: un oggetto estremo e massiccio, sparato nello spazio intergalattico a velocità che arrivano a diverse migliaia di chilometri al secondo. Un team di ricercatori britannici ha sviluppato un metodo per misurare in dettaglio questi spettacolari eventi cosmici.
Il nuovo metodo potrebbe essere utilizzato per rilevare e misurare i buchi neri “fuggitivi”, ovvero quel fenomeno che si verifica quando due buchi neri supermassicci si scontrano tra loro e il rinculo della collisione è tale da far scappare fuori dalla galassia ospite il buco nero finale.
La fusione di buchi neri massicci è un fenomeno che ha iniziato a suscitare un interesse crescente a partire da febbraio di quest’anno, quando la collaborazione LIGO/Virgo ha annunciato la prima rilevazione di un segnale di onde gravitazionali proveniente proprio dalla collisione di due buchi neri da decine di masse solari. La scoperta ha rappresentato un’importante conferma della previsione della teoria della relatività generale di Einstein, e ha segnato l’inizio di una nuova era dell’astronomia. La sensibilità degli interferometri a nostra disposizione è in continua crescita, e ci aspettiamo un numero sempre maggiore di rilevazioni nei prossimi anni (una, infatti, è arrivata giusto pochi giorni fa).
Mentre due buchi neri ruotano uno attorno all’altro emettono onde gravitazionali e si avvicinano tra loro. Quando alla fine i due oggetti entrano in collisione, lo scontro può dar luogo a un rinculo con velocità da qualche centinaia a diverse migliaia di chilometri al secondo. Se il rinculo supera la velocità di fuga dalla galassia, il buco nero risultante dalla fusione può trovarsi ad essere sparato nello spazio intergalattico.
I ricercatori hanno sviluppato un nuovo modello, grazie al quale è possibile rilevare le velocità finali di questi buchi neri in fuga sulla base del segnale di onde gravitazionali emesso. Per fare questo utilizzano il cosiddetto effetto Doppler, ovvero quel fenomeno che possiamo riscontrare anche durante il passaggio di un’ambulanza a sirene spiegate, quando il segnale sonoro diventa più acuto mentre il veicolo si avvicina e più grave mentre si allontana. Il fenomeno viene ampiamente utilizzato anche in astronomia, dato che la radiazione elettromagnetica proveniente dagli oggetti in movimento subisce lo stesso tipo di stiramento: verso il blu se si avvicina a noi e verso il rosso se si allontana. Allo stesso modo, quando un buco nero è in fuga dalla sua galassia ospite, le onde gravitazionali che emette saranno compresse se la sorgente si avvicina a noi o stirate se si allontana.
«Se siamo in grado di rilevare uno spostamento Doppler di un’onda gravitazionale prodotta dalla fusione di buchi neri, stiamo osservando un buco nero in fuga», spiega Davide Gerosa, dottorando presso l’Università di Cambridge e primo autore dell’articolo. «Una misura di questo tipo ci permetterebbe di ottenere un’osservazione diretta del fatto che le onde gravitazionali non trasportano solo energia, ma anche quantità di moto».
La possibilità di rilevare questo effetto richiede esperimenti in grado di misurare le onde gravitazionali provenienti da fusioni di buchi neri con una precisione altissima. Tale precisione non è alla portata dei rivelatori terrestri, come LIGO e Virgo, ma secondo i ricercatori il nuovo esperimento spaziale di rivelazione di onde gravitazionali eLISA dell’ESA sarà abbastanza potente da catturare queste piccolissime variazioni di segnale. Il lancio di eLISA è previsto per il 2034, e nel 2015 l’ESA ha lanciato LISA Pathfinder, un esperimento in scala ridotta che sta testando con successo le tecnologie che potrebbero essere utilizzate misurare le onde gravitazionali dallo spazio.
Secondo le stime dei ricercatori eLISA sarà particolarmente adatto a rilevare i buchi neri fuggitivi, poiché potrà misurare velocità dell’ordine di 500 chilometri al secondo. Le possibilità che si aprono per lo studio di questa tipologia di oggetti sono numerose, così come le nuove opportunità per testare la relatività generale.
«Quando è stata annunciata la rivelazione delle onde gravitazionali è iniziata una nuova era per l’astronomia, dal momento che ora possiamo osservare direttamente la fusione di due buchi neri», dice Christopher Moore, dottorando a Cambridge e co-autore dello studio, nonché membro del team che ha annunciato a febbraio scorso la prima rivelazione diretta di onde gravitazionali. «Ora abbiamo due metodi per individuare i buchi neri, ed è incredibile pensando che solo pochi mesi fa questo non era possibile. Con il lancio in futuro di rivelatori spaziali per le onde gravitazionali potremo osservarle con un dettaglio ancora maggiore».
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “Black Hole Kicks as New Gravitational Wave Observables” di Davide Gerosa e Christopher J. Moore