Cominceranno nel febbraio del prossimo anno i lavori per la progettazione di Mavis (Mcao-Assisted Visible Imager & Spectrograph): il primo strumento – imager e spettrografo – assistito da ottica adattiva multi-coniugata nel visibile, progettato per la adaptive optics facility del Vlt, il Very Large Telescope dell’Eso. Mavis promette di indagare il cosmo più a fondo di Hubble, con una nitidezza delle immagini che supererà quella del James Webb, ed è un progetto australiano–europeo.
L’Istituto nazionale di astrofisica ha la responsabilità del modulo di ottica adattiva, del software di controllo dello strumento e un rilevante ruolo nel team scientifico, con la presenza di un co-project scientist e di tre dei sei membri dello science team. L’Australian National University e la Macquarie University, entrambe partner dell’Australian Astronomical Optics Consortium (Aao), guideranno la fase di ideazione di Mavis, confermando così il Vlt come uno fra i telescopi ottici a terra più potenti al mondo.
«La turbolenza atmosferica limita ciò che possiamo vedere attraverso un telescopio da terra – un effetto che possiamo paragonare a quello che in una giornata calda ci fa vedere gli oggetti all’orizzonte sfuocati», spiega Francois Rigaut, principal investigator dello strumento presso l’Australian National University e leader del consorzio internazionale.
Un sistema di ottica adattiva classica è composto da tre componenti principali: un sensore di fronte d’onda, che rileva la distorsione dell’onda luminosa proveniente da una sorgente astronomica di riferimento; un computer che traduce la misura effettuata in comandi per la correzione da effettuarsi in tempo reale; e uno specchio deformabile, che corregge la deformazione della luce che attraversa l’atmosfera. Per fornire immagini nitide su un campo di vista circa 20 volte più grande dei normali sistemi di ottica adattiva, Mavis sfrutterà la tecnica chiamata ottica adattiva multi-coniugata, che richiede di aumentare il numero dei componenti principali da far lavorare contemporaneamente.
«Il sistema di ottica adattiva multi-coniugata di Mavis conterà 3 specchi deformabili, 8 sensori di fronte d’onda, 3 stelle di riferimento naturali e 5 stelle guida laser artificiali», elenca Valentina Viotto, dell’Inaf – Osservatorio astronomico di Padova, responsabile del modulo di ottica adattiva di Mavis.
«È proprio nel campo dell’ottica adattiva che l’Istituto nazionale di astrofisica può sfruttare l’esperienza maturata in anni di ideazione e realizzazione di strumenti in consorzi internazionali, attualmente montati su alcuni fra i più grandi telescopi al mondo, portati a compimento in particolare negli osservatori di Padova e Arcetri, entrambi coinvolti nel progetto Mavis», dice Lorenzo Busoni, dell’Inaf – Osservatorio astrofisico di Arcetri
«La complessità dello strumento pone delle sfide anche per il software di controllo, che deve orchestrarne le operazioni. Qui l’Inaf può mettere in campo l’esperienza maturata nel settore, ad esempio per lo strumento Sphere, e riconosciuta a livello internazionale», aggiunge Andrea Baruffolo, che guida il gruppo software di Padova.
«Mavis ci darà una visione dell’universo più ampia, più nitida e più sensibile che mai», promette Richard McDermid, della Macquarie University, project scientist di Mavis.
«Lo strumento fornirà immagini a grande campo ad alta definizione, come se il telescopio fosse nello spazio. Questo era fino ad oggi possibile solo nell’infrarosso, mentre Mavis estenderà questa capacità alle bande visibili», conclude Giovanni Cresci, dell’ Inaf – Osservatorio Astrofisico di Arcetri, co-instrument scientist dello strumento.
Quando è stato chiesto di proporre idee per le ricerche che Mavis potrebbe affrontare, la comunità scientifica ha risposto in forze. Sono state raccolte circa 60 proposte individuali, di cui ben 30 a firma italiana, che coinvolgono 150 scienziati provenienti da 47 istituti di 16 paesi, con argomenti che vanno dal monitoraggio di lune e pianeti nel Sistema solare, allo studio delle stelle attualmente nascenti nel nostro vicinato galattico, al rilevamento della luce dai primi ammassi stellari che si sono formati 13 miliardi di anni fa. Questo include osservazioni fin nel cuore di antichi ammassi stellari intorno alla nostra galassia per cercare evidenze dei cosiddetti buchi neri di massa intermedia, migliaia di volte più pesanti del nostro Sole.
L’installazione di Mavis sul Vlt dovrebbe essere completata entro il 2025, in linea con la prima luce prevista per Elt, l’Extremely Large Telescope dell’Eso – altro telescopio di nuova generazione il cui modulo di ottiche multi–adattive, Maory, è targato Inaf. La connessione tra Mavis ed Elt è importante: Mavis, infatti, non sarà in grado di raccogliere tanta luce come l’Elt, ma proprio perché lavora a lunghezze d’onda più corte le immagini che riuscirà a realizzare saranno più nitide. Le diverse lunghezze d’onda daranno informazioni complementari, rendendo la capacità combinata di Mavis ed Elt maggiore della somma delle loro parti.