OSSERVATO PER LA PRIMA VOLTA IL DISACCOPPIAMENTO IN DUE AMMASSI

Dove la materia s’impantana, quella oscura avanza

Un team di astronomi, guidato da Emily Silich del Caltech e da Elena Bellomi di Harvard, ha districato le componenti di una collisione tra due enormi ammassi di galassie in cui la materia oscura si è separata dalla materia ordinaria, superandola e attraversando indenne la regione d’incontro. Lo studio su The Astrophysical Journal

     02/08/2024

Quante cose si imparano, dagli scontri. È così nelle relazioni fra noi umani, relazioni che proprio da un conflitto ben gestito possono maturare ed evolvere. È così nel microcosmo della fisica delle particelle, dove per sondare la natura della materia si usano acceleratori con lo scopo di generare collisioni ad altissima energia. Ed è così anche nel macrocosmo dell’astrofisica: l’esempio più recente arriva dalla coppia di ammassi di galassie Macs J0018.5+1626, immense strutture formate da migliaia di galassie a miliardi di anni luce di distanza da noi. Assistendo allo scontro frontale tra i due ammassi della coppia, un team di astronomi guidato da Emily Silich del Caltech e dall’astronoma italiana Elena Bellomi – originaria di Castelletto Stura, in provincia di Cuneo, ma oggi ricercatrice all’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, negli Stati Uniti – è riuscito in un’impresa senza precedenti: “osservare” in modo diretto il disaccoppiamento di materia oscura e materia ordinaria. Scoprendo, come riportato in un articolo pubblicato a metà giugno su The Astrophysical Journal, che la materia oscura si lascia alle spalle la materia ordinaria.

Rappresentazione artistica della collisione tra due enormi ammassi di galassie. Man mano che la collisione procede, la materia oscura negli ammassi di galassie (blu) sopravanza le nubi di gas caldo associate, o materia ordinaria (arancione). Crediti: W.M. Keck Observatory/Adam Makarenko

Ciò che hanno visto, analizzando decenni di dati osservativi raccolti con i telescopi più disparati, è che durante la collisione fra i due ammassi le singole galassie, separate dalle immense distanze dello spazio intergalattico, s’incrociano senza entrare in collisione. Così non è per il grosso della materia normale, vale a dire il gas intergalattico: lo scontro qui avviene eccome, il gas diventa turbolento e si surriscalda. E se vi state chiedendo in tutto questo dove sia la materia oscura, è presto detto: non si è vista direttamente, altrimenti non sarebbe materia oscura, ma l’assunto degli autori dello studio è che durante la collisione si comporti in modo analogo alle galassie, che dunque possono essere considerate un cosiddetto proxy per la materia oscura. Riassumendo: il gas intergalattico è la materia ordinaria, le galassie – pur essendo anch’esse materia ordinaria – qui rappresentano la materia oscura, e quel che si è visto è che durante lo scontro quest’ultima sopravanza la prima.

E perché avviene? Entrambe le forme di materia interagiscono gravitazionalmente, ma solo la materia ordinaria interagisce anche elettromagneticamente, ed è proprio l’interazione elettromagnetica a rallentare il gas intergalattico durante la collisione. Così, mentre la materia ordinaria – il gas, appunto – rimane impantanata, la materia oscura presente abbondanza – ne costituisce l’85 per cento – in ciascuno dei due ammassi supera indenne la zona d’impatto. Provate a immaginare uno scontro frontale fra due camion che trasportano sabbia, suggerisce Silich, prima autrice dello studio. «La materia oscura è come la sabbia, e vola avanti». A differenza dei due camion accartocciati uno sull’altro, che rappresentano invece la materia ordinaria.

La scoperta, come dicevamo, è stata possibile grazie ai dati – alcuni risalenti a decine d’anni fa – di numerosi telescopi: il Caltech Submillimeter Observatory (recentemente rimosso dal suo sito di Maunakea, alle Hawaii, per essere trasferito in Cile), il Keck Observatory sempre di Maunakea, i telescopi spaziali Chandra (raggi X), Hubble (ottico e Uv), Herschel (infrarosso) e Planck (microonde) e, di nuovo da terra, Alma, in Cile.

«Lo studio che abbiamo condotto su Macs J0018.5 vogliamo ripeterlo in futuro su altri cinque o sei ammassi di galassie», dice Bellomi a Media Inaf, «ci stiamo già lavorando, e chissà cosa scopriremo, vista la sorpresa che ci ha regalato questo».

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