Undici miliardi di anni fa la Terra ancora non esisteva, ma la nube di vapor d’acqua appena scoperta da Violette Impellizzeri e Paola Castangia, insieme ad altri colleghi di istituti tedeschi, già vagava nello spazio interstellare di una remota galassia, un quasar, nelle vicinanze di un buco nero supermassivo. Si tratta dell’acqua più antica mai osservata, e la sua individuazione è stata resa possibile dalla concomitanza di due fenomeni fisici: i maser e le lenti gravitazionali.
Le lenti gravitazionali sono una sorta di telescopi naturali: la luce emessa da sorgenti molto lontane, grazie alla curvatura dello spazio-tempo prodotta dai campi gravitazionali che incontra nel suo tragitto, viene distorta e magnificata al punto da poter essere osservata dalla Terra. I maser, pur in modo completamente diverso, funzionano anch’essi da concentratori di radiazione elettromagnetica: come avviene nei più comuni laser, un raggio di luce attraversa una nube di gas che, a differenza di quanto avviene in una nube normale, a causa delle sue particolari condizioni di densità e di temperatura, non solo non indebolisce il raggio, ma addirittura lo amplifica. Un maser posto dietro a una lente gravitazionale, dunque, fa sì che una sorgente di energia finisca per venire concentrata due volte. Ed è proprio grazie a questa singolare coincidenza che le due giovani astronome italiane sono riuscite a individuare onde elettromagnetiche emesse da molecole d’acqua 11 miliardi di anni fa: non solo le più antiche conosciute, dunque, ma anche le prime a essere osservate grazie a una lente gravitazionale.
«Siamo state fortunate», ammette Paola Castangia, «abbiamo individuato il maser proprio nel primo oggetto sul quale abbiamo puntato il nostro enorme occhio, il radiotelescopio di Effelsberg, il più grande d’Europa, vicino a Bonn. Una scoperta così improbabile che quasi non ci credevamo. Però, con l’entusiasmo che forse solo i ricercatori giovani ancora hanno, abbiamo deciso comunque di provare a ripetere le osservazioni con uno strumento ancora più sensibile, il VLA, nel New Mexico. E quando abbiamo avuto la conferma che cercavamo… è stata un’emozione unica, l’acqua in effetti c’era!»
«La lente gravi tazionale, posta tra la sorgente del maser e la Terra», spiega Violette Impellizzeri, «è stata determinante per scoprirlo: senza di essa avremmo dovuto osservare con il radiotelescopio di Effelsberg per 580 giorni di seguito. Invece ci sono state sufficienti 14 ore».
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Paola Castangia, all’epoca della prima osservazione ancora fresca di dottorato, si trovava al Max-Planck grazie al programma «Master & Back», pensato apposta per garantire un ritorno in Italia a potenziali cervelli in fuga: «In un Paese in affanno, che sembra dimenticarsi della necessità di passare lo scettro ai giovani», commenta con soddisfazione Nichi D’Amico, docente di astrofisica all’Università di Cagliari e direttore dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari, «il programma di Alta Formazione della Regione Sardegna “Master & Back” si propone come un lungimirante e determinato atto di coraggio». Intanto Paola non se ne sta con le mani in mano: in attesa della borsa di studio di due anni (ottenuta il primo dicembre scorso) che le permetterà di continuare le proprie osservazioni con SRT (il grande radiotelescopio in costruzione in Sardegna), lo scorso novembre, anticipando lei stessa i soldi per la missione, se n’è andata una settimana ad Arecibo, il grande «orecchio elettronico» reso famoso dal film Contact, per indagare sul maser dell’acqua insieme alla collega Violette.