Quando Marc Buie, del Southwest Research Institute (in Colorado), cliccò uno a uno i pulsanti «start» dei venti computer che, per quattro anni ininterrottamente, avrebbero elaborato le foto scattate dal Telescopio Spaziale Hubble fra il 2002 e il 2003, Plutone era ancora un pianeta. Senza se e senza ma. Quel suffisso “nano” che l’Unione Astronomica Internazionale gli avrebbe affibbiato nell’estate del 2006 non era ancora nell’aria.
E quando il declassamento arrivò, vuoi per lungimiranza, vuoi per compassione, Buie e colleghi non ne fecero parola con i loro venti silenziosi collaboratori al silicio. Nessuno ebbe il coraggio di staccare la spina. E quelli, inconsapevoli, tirarono dritto. Continuarono a sudare bit e macinare algoritmi per anni. Fino alla conclusione del lavoro, sancita dal ronzio d’una stampante a colori che si metteva improvvisamente in azione. Partorendo le immagini che vedete qui a fianco.
Dodici struggenti acquerelli d’un pianeta che non è più tale, non formalmente almeno, ma è più bello e più dinamico che mai. Il calendario d’un mondo remoto dove il ciclo delle stagioni dura 248 anni. Un mondo dai colori pastellati e cangianti: dal bianco di quella che potrebbe essere una distesa ghiacciata di monossido di carbonio, all’arancione scuro e al nero del metano che reagisce all’irradiazione ultravioletta del Sole, fiaccata dalle oltre 5 ore che il viaggio, seppur alla velocità della luce, in media richiede. Un mondo che sembra diventare sempre più rosso, almeno rispetto al decennio scorso.
Immagini evocative, certo, ma anche preziose dal punto di vista scientifico: fino al 2015, ovvero fino al flyby della sonda della NASA New Horizons con l’ex-pianeta, queste di Hubble resteranno le più nitide istantanee a disposizione degli scienziati per studiare le sorprendenti caratteristiche di Plutone.
Press release NASA e altre immagini:
hubblesite.org/newscenter/archive/releases/2010/06