Con l’installazione di una torre alta 600 metri, il doppio della torre Eiffel, ancorata a duemila metri sotto il mare, al largo delle coste di Catania, ha compiuto un ulteriore passo in avanti la costruzione dell’osservatorio sottomarino Nemo (Neutrino Mediterranean Observatory), un progetto dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) che ha come obiettivo quello di studiare i neutrini di altissima energia provenienti dai confini più remoti della nostra galassia. L’osservatorio Nemo, alla cui realizzazione partecipano circa 80 ricercatori italiani, è l’anticamera prototipale di un progetto futuro ancora più ambizioso, chiamato chilometro cubo o KM3, una gigantesca antenna sottomarina calata a 3.500 metri di profondità che occuperà un volume di circa un chilometro cubo. Questo telescopio sarà costituito da migliaia di rivelatori che avranno il compito di fotografare i lampi di luce (luce Cherenkov) emessi nei processi di interazione dei neutrini con l’acqua. KM3 è l’ultimo gradino nella “scala evolutiva” dei rivelatori di neutrini, elusive particelle subatomiche con bassissima probabilità di interagire con la materia interstellare.
Il progenitore di tutti i “cacciatori di neutrini” è stato realizzato in Italia, intorno alla metà degli anni Settanta dai ricercatori dell’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario di Torino. “Il primo esperimento, chiamato LSD (acronimo di Liquid Scintillation Detector) è stato realizzato sotto il Monte Bianco, in una cavità scavata nella roccia a 3.000 metri di profondità”, racconta Carlo Morello, direttore dell’IFSI. “Il sistema di rivelazione era basato sul liquido scintillatore in grado di emettere impulsi luminosi quando attraversato da una particella carica e permetteva per la prima volta di studiare le interazioni con la materia dei neutrini generati dal collasso di supernove”.
I neutrini sono i messaggeri più penetranti dell’Universo violento, la chiave per svelare il mistero dell’origine dei raggi cosmici. Una pioggia di particelle neutre che bersaglia continuamente la Terra, con energie fino a milioni di volte più elevate di quelle ottenibili nei più potenti acceleratori di particelle del mondo. Per la loro debolissima interazione con la materia, i neutrini non si fanno acciuffare facilmente. È necessario innanzitutto schermare il flusso delle altre particelle cosmiche, ed ecco perché i ricercatori si rifugiano in posti inaccessibili, in fondo al mare o nelle viscere della Terra. Inoltre, occorrono rivelatori molto potenti. “Maggiore è il volume dei rivelatori, più lontano riusciamo ad arrivare nello spazio”, spiega Morello. La prosecuzione dell’esperimento LSD è stato LVD, il Large Volum Detector, installato nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dall’INFN con la collaborazione dei ricercatori INAF. “L’obiettivo principale di LVD è la rivelazione dei neutrini da collassi gravitazionali stellari di supernovae. Con LVD siamo in grado di monitorare i neutrini di tutta la galassia”, prosegue Morello.
“La rete di rivelatori di neutrini da supernova denominata SNEWS (SuperNova Early Warning System) di cui LVD è membro, insieme con SuperKamiokande, in Giappone, IceCube in Antartide e Borexino nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, ha lo scopo di fornire alla comunità scientifica un preallarme di un collasso gravitazionale che avvenga ad una distanza non superiore a 100 kpc dalla Terra. Infatti, i neutrini precedono l’emissione di fotoni di qualche ora”, aggiunge Walter Fulgione, ricercatore dell’Ifsi di Torino. “Questo permetterà non solo di studiare l’evento nella sua componente energeticamente dominante, i neutrini, ma renderà possibile la sua osservazione sin dai primi istanti e con tutti gli strumenti a disposizione, tra i quali le antenne o gli interferometri gravitazionali”.
LVD, NEMO e in futuro KM3 permetteranno di svelare i segreti nascosti di regioni sconosciute dello spazio e di meglio comprendere alcuni fenomeni che avvengono nell’Universo, come l’esplosione di supernovae, i raggi gamma e i nuclei galattici attivi.