Come trasformare un innocuo elettrone in un potenziale devastatore, in grado di mettere in ginocchio anche i satelliti più sofisticati? La ricetta è semplice: piazzatene una manciata nella fascia esterna del campo magnetico terrestre, fra i 12mila e i 64mila chilometri d’altezza, là dove i satelliti brulicano. Poi date loro una bella sferzata con l’onda d’urto d’una tempesta solare. E il gioco è fatto. Vedrete il loro numero decuplicare, inizieranno a spostarsi a un’energia sufficientemente elevata da penetrare la schermatura dei satelliti e generare fulmini microscopici. Piccole scariche elettriche capaci di provocare danni irreparabili, se a esserne colpito è un componente vitale.
È quanto ha scoperto la costellazione di satelliti CLUSTER dell’Esa a partire dai dati di una tempesta solare avvenuta oltre cinque anni fa, il 7 novembre del 2004. Quando l’onda d’urto scatenata dalla nostra stella travolse il satellite Soho, seguita da un’enorme nube magnetica. La velocità del vento solare ebbe un’impennata, schizzando da 500 a 700 chilometri al secondo. E poco più tardi investì in pieno la magnetosfera terrestre, generando un’onda d’urto a oltre 1200 chilometri al secondo che si propagò attorno alla Terra, proprio all’altezza dell’orbita geostazionaria (36mila chilometri).
Ora, riguardando i dati raccolti da CLUSTER, Qiugang Zong (Università di Pechino) e colleghi hanno compreso che a innescare la produzione di elettroni killer è stata la successione di due serie di onde: una prima serie a bassa frequenza (fra i 3 e i 30 KHz) seguita da una seconda serie a frequenza ultra-bassa (0.001-1 Hz).
Per capirne di più, abbiamo chiesto aiuto ad Alessandro Bemporad, ricercatore presso l’INAF-Osservatorio astronomico di Torino ed esperto di fisica solare. Sentiamo:
Immagini e animazioni sono disponibili sul sito Esa.