Gli astronomi sanno da sempre che in molte osservazioni dell’Universo distante una parte consistente della luce emessa dai corpi celesti non viene osservata. Ma finora non sapevano quanta parte si stessero perdendo. Ebbene, i numeri parlano di uno sconsolante 90%. In altre parole, solo un telescopio su 10 puntato sull’Universo distante centrerebbe il suo bersaglio.
Il motivo di questa disfatta? Un limite della tecnica impiegata più di frequente, basata su una riga ultravioletta emessa dall’idrogeno. Lo sostiene un’indagine estremamente approfondita pubblicata questa settimana su Nature e compiuta usando due dei quattro telescopi giganti da 8,2 metri del Very Large Telescope (VLT) dell’ESO e uno specifico filtro. Gli astronomi hanno determinato che una larga frazione delle galassie la cui luce impiega 10 miliardi di anni a raggiungerci è rimasta nascosta. L’indagine ha permesso anche di scoprire alcune delle galassie più deboli trovate a questo stato iniziale dell’Universo.
Per determinare il numero di stelle che si sono formate in un Universo molto distante, gli astronomi usano frequentemente la caratteristica “impronta digitale” della luce emessa dall’idrogeno conosciuta come la riga Lyman-alfa. Il problema è che la maggior parte della luce Lyman-alfa resta intrappolata dentro la galassia che la emette, nell’interazione con le nubi interstellari di gas e polvere. È così che 9 galassie su 10 non si mostrano alle indagini condotte in Lyman-alfa.
“Gli astronomi hanno sempre saputo che stavano perdendo qualche frazione delle galassie nelle osservazioni Lyman-alfa”, spiega Matthew Hayes, il primo autore delle studio, “ma per la prima volta abbiamo una misurazione. Il numero di galassie perse è sostanziale”. Questo dato, se da un lato può essere deludente, dall’altro è entusiasmante: “Se sono visibili dieci galassie, allora potrebbe essere che ce ne siano cento”, afferma Hayes.
Per riuscire a capire quanto della luminosità totale andasse persa, Hayes e il suo team ha usato la camera FORS al VLT e un apposito filtro in banda stretta per misurare questa luce Lyman-alfa. Poi, usando la nuova camera HAWK-I, unita a un altro telescopio del VLT, hanno esaminato la stessa area dello spazio per luce emessa ma a una differente lunghezza d’onda, anche questa emessa dall’idrogeno eccitato, e conosciuta come la riga H-alfa. Hanno specificatamente indirizzato lo sguardo alle galassie la cui luce stava viaggiando da 10 miliardi di anni (redshift 2.2), in una ben conosciuta area del cielo, chiamata campo GOODS-South.
“È stata la prima volta che abbiamo osservato un pezzo di cielo così approfonditamente nella luce prodotta dall’idrogeno a queste due estremamente specifiche lunghezze d’onda, e questa prova è stata cruciale”, dice un altro membro del team Gӧran Ӧstlin. L’indagine è stata molto approfondita, e ha scoperto alcune delle galassie più deboli ora conosciute a questa epoca iniziale della vita dell’Universo.
I risultati di questa indagine producono un forte avvertimento per i cosmologi. “Ora che sappiamo quanta luce stessimo perdendo, possiamo cominciare a creare una più accurata rappresentazione del cosmo, comprendendo meglio con che velocità le stelle si siano formate in tempi differenti nella vita dell’Universo”, dice il co-autore Miguel Mas-Hesse.