DALLA POLVERE ALLE STELLE

Planck, un satellite riciclone

Prodotte grazie a un'attenta "raccolta differenziata" dei suoi dati di scarto, le nuove immagini del telescopio spaziale Planck dell’ESA svelano le complesse interazioni fisiche che guidano la formazione delle stelle nella nostra galassia.

     26/04/2010
Le regioni di Orione (in alto) e Perseo (in basso) in un'immagine composta da tre dei nove canali di Planck (30, 353 e 857 GHz). Crediti: ESA/LFI and HFI Consortia

Le regioni di Orione (in alto) e Perseo (in basso) in un'immagine composta da tre dei nove canali di Planck (30, 353 e 857 GHz). Crediti: ESA/LFI and HFI Consortia

Spazzatura per la cosmologia, oro colato per l’astrofisica. È il destino dei dati di foreground del telescopio spaziale dell’ESA Planck. Disturbo da rimuovere per i cosmologi, interessati soprattutto al background (la radiazione di fondo dell’universo), i foreground—le sorgenti in primo piano, come galassie, stelle e mezzo interstellare—rappresentano invece per gli astrofisici una fonte impareggiabile d’informazioni.

Informazioni come quelle fornite dalle nuove immagini raccolte da Planck di due regioni di formazione stellare relativamente vicine, Orione e Perseo, entrambe nella nostra galassia. «Per la prima volta», dice Gianfranco De Zotti, astronomo ordinario presso l’INAF-Osservatorio astronomico di Padova, «abbiamo una visione globale di tutta la complessità dei fenomeni che sono coinvolti nel processo di formazione di nuove stelle. Un processo ancora assai poco conosciuto, perché dipende da un insieme di fenomeni fisici estremamente difficili da individuare e da ricostruire in modo adeguato».

DOVE NASCONO LE STELLE

Le stelle si formano al riparo da occhi indiscreti, in regioni della Galassia avvolte nella polvere. Ma non per questo impenetrabili: là dove i telescopi ottici non vedono altro che buio, gli occhi a microonde di Planck riescono a cogliere miriadi di strutture luminose di polvere e gas. È ciò che si vede nella regione di Orione, una culla di stelle in formazione a circa 1500 anni luce da noi, la cui nebulosa appare a occhio nudo come una debole chiazza rosa. Nell’immagine raccolta da Planck, la nebulosa è la macchia luminosa più in basso, mentre a destra del centro si distingue la Nebulosa Testa di Cavallo, così chiamata per la sagoma suggerita dalla forma delle sue colonne di polvere. Il gigantesco arco rossastro che l’avvolge, detto Anello di Barnard, potrebbe essere l’onda d’urto dell’esplosione d’una stella avvenuta circa due milioni d’anni fa. La bolla che ha generato si estende per circa 300 anni luce. In un’altra immagine di Planck, la regione di Perseo. Rispetto a quella di Orione, qui c’è un’attività di formazione stellare meno vigorosa, ma tutt’altro che sopita.

In entrambe le immagini si colgono infatti tre processi fisici all’opera nella polvere e nel gas del mezzo interstellare. Processi che con Planck è possibile distinguere l’uno dall’altro. Alle frequenze più basse, l’emissione di sincrotrone, causata dall’interazione fra elettroni ad alta velocità e il campo magnetico della Galassia (sempre a queste frequenze, Planck ha rilevato anche la cosiddetta emissione anomala, di cui ancora si sa molto poco, originata da granuli di polvere molto piccoli e irregolari che quando sono investiti dalla radiazione cominciano a ruotare rapidamente su se stessi). Salendo a frequenze intermedie, si osserva l’emissione free-free, dal gas reso incandescente dalle stelle calde di formazione recente. A frequenze ancora più alte, il calore debolissimo (pochi gradi sopra lo zero assoluto) dell’emissione dalle polveri, compresi quei globuli iper-freddi che rappresentano la fase finale del processo di condensazione del sistema di gas e polveri del mezzo interstellare, e che porta alla fine alla creazione di nuove stelle. «Grazie alla sua ampia copertura spettrale», riassume De Zotti, «Planck ci permette così di vedere contemporaneamente, e tutti insieme, gli effetti legati al campo magnetico, alla fase calda della dinamica stellare, e alla fase fredda in cui entrano in gioco le polveri».

PLANCK CAMPIONE DI RACCOLTA DIFFERENZIATA

Planck è stato progettato e lanciato per studiare il background, ovvero il fondo cosmico a microonde, la fotografia dei primi istanti dell’universo. Ma per ricostruire una fotografia accurata, tutto ciò che fondo non è—e che a esso si sovrappone: appunto, i foreground—dev’essere scrupolosamente sottratto. Attività, questa, che ha un nome ben preciso: component separation (separazione delle componenti). Una sorta di “raccolta differenziata” che a Planck riesce egregiamente, grazie alle nove frequenze del suo mosaico di ricevitori, divisi in due strumenti: LFI, finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana e realizzato da un consorzio internazionale sotto la guida di Reno Mandolesi dell’INAF-IASF Bologna, per le frequenze da 30 a 70 GHz; HFI, a guida francese, per le frequenze dai 100 agli 857 GHz.

E i ricercatori italiani sono in prima linea anche per quanto riguarda la separazione delle componenti, attività coordinata, per Planck, proprio da Gianfranco De Zotti: «I metodi sviluppati in Italia sono molto competitivi, certamente fra i migliori esistenti. E questo ci dà un po’ di vantaggio, permettendoci di estrarre i dati astrofisici in modo piuttosto efficiente».

Rappresentazione della separazione delle componenti, la "raccolta differenziata" dei dati non cosmologici di Planck

DOMANI A PLANCK IL PREMIO “PADOVA CITTÀ DELLE STELLE”

L’edizione 2010 del Premio “Padova Città delle Stelle” è stata dedicata al Fondo cosmico a microonde, relitto del Big Bang, proprio per sottolineare l’importanza del lancio del satellite Planck. La cerimonia di premiazione si terrà domani, martedì 27 aprile, dalle ore 11:00 alle 12:30, presso il Centro culturale Altinate/San Gaetano di Padova. A ricevere il premio, saranno presenti i due responsabili degli strumenti di Planck, Reno Mandolesi per LFI e Jean-Loup Puget per HFI.

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