È una nostra vicina di casa, la Grande Nube di Magellano (LMC, Large Magellanic Cloud): si trova ad appena 160mila anni luce dalla Via Lattea. Su scala cosmica, a un tiro di schioppo. Questa sua prossimità la rende un oggetto di studio importantissimo, consentendoci di osservarne dettagli impossibili da cogliere in sistemi più distanti. LMC si trova nella costellazione del Dorado (il “pesce spada”), nell’emisfero sud, il luogo ideale per essere osservata dai telescopi dell’ESO in Cile. Fa parte del Gruppo Locale, le galassie che circondano la Via Lattea. Ed è piuttosto piccina, almeno in termini astronomici: ha una massa che è appena un decimo di quella della Via Lattea, distribuita su 14mila anni luce (rispetto ai circa 100mila della Via Lattea). Enorme per noi, galassia nana per gli astronomi. Nana e irregolare, al punto da far supporre che sia stata proprio l’interazione gravitazionale con la nostra galassia e le altre circostanti a distorcerne l’originale forma a spirale fino all’aspetto caotico che la contraddistingue attualmente.
L’immagine qui a fianco è ottenuta da un mosaico di quattro scatti del Wide Field Imager (WFI), una super macchina fotografica digitale posta su un telescopio da 2.2 metri dell’ESO, in Cile, e copre una porzione di cielo grande più o meno quattro volte la Luna piena. LMC, in realtà, è assai più estesa, ma grazie all’enorme campo di vista di WFI è stato comunque possibile racchiudere in un’unica immagine una quantità, e dunque una varietà, notevole degli oggetti che la popolano. Si possono vedere decine di ammassi di giovani stelle e nubi di gas incandescente. La foto pullula poi, da un estremo all’altro, di innumerevoli stelle più deboli. E sullo sfondo, ben al di là della LMC, s’intravedono altre galassie.
Gli ammassi globulari sono cumuli di centinaia di migliaia, a volte milioni, di stelle – dall’irregolare forma sferoidale e dal diametro di qualche anno luce – tenuti insieme dalla forza di gravità. La Via Lattea ne ospita parecchi: per la maggior parte antichi, oltre 10 miliardi di anni, e composti principalmente da vecchie stelle rosse. Anche LMC contiene ammassi globulari: uno lo si può vedere nella zona in alto a destra dell’immagine, una sorta di ovale irregolare e bianco (cliccare sull’immagine per ingrandirla). Si tratta di NGC 1978, un ammasso globulare insolitamente massiccio. Si ritiene che NGC 1978 sia molto giovane, a differenza della maggior parte degli ammassi globulari: appena 3.5 miliardi di anni. È proprio la presenza di questo tipo d’oggetti a far supporre agli astronomi che la LMC abbia una storia di formazione stellare più recente di quella della Via Lattea.
Particolarmente attiva come regione di formazione stellare, la LMC lo è però altrettanto per quanto riguarda le più spettacolari dipartite di stelle: si possono infatti notare brillanti esplosioni di supernovae. Nell’angolo in alto a destra, per esempio, s’intravede il resto di una di queste supernovae, una nube dalla forma incerta chiamata DEM L 190 (o N 49). Si tratta del resto di supernova più luminoso di tutta la LMC, ed è grande circa 30 anni luce. Il suo interno, là dove un tempo bruciava la stella, è ora la dimora d’un magnetar, una stella di neutroni con un campo magnetico potentissimo.
Insomma, una porzione della Grande Nube di Magellano, quella immortalata del telescopio dell’ESO, talmente stipata di ammassi e altri tipi d’oggetti da rappresentare per gli astronomi uno zoo celeste nel quale trascorrere intere carriere, imbattendosi a ogni piè sospinto nelle più strane creature del cosmo.
Press release originale (con video): www.eso.org/public/news/eso1021/