Il 7 gennaio scorso un singolare oggetto celeste è finito nel campo visivo dei telescopi del programma LINEAR della NASA, che tengono gli occhi aperti sugli asteroidi e controllano che non entrino in rotta di collisione con la Terra. Ebbene, nel routinario monitoraggio di questi sassi vaganti nello spazio, è stato avvistato un corpo che ha catturato l’attenzione degli scienziati. Qualcosa a metà strada tra una cometa e un asteoride. “Come gli asteroidi, orbita nella fascia principale, tra Marte e Giove, ma come le comete mostra una coda di polveri lunga oltre 100 mila chilometri”, racconta Gian Paolo Tozzi, ricercatore dell’INAF – Osservatorio Astrofisico di Arcetri. In un articolo in pubblicazione su Astrophysical Journal Letters, apparso in pre-print su ArXiv, Tozzi e altri colleghi presentano una spiegazione alternativa per decifrare la natura di questo ibrido.
“Tipicamente sono le comete a produrre queste lunghe scie di polveri e vapor acqueo quando dalla fredda, remota fascia di Kuiper, si avvicinano verso orbite più interne del Sistema Solare. Il ghiaccio sulla superficie vaporizza ed espelle materiale dal nucleo della cometa, producendo tipici getti”, spiega Tozzi. “Gli asteroidi, invece, sono corpi rocciosi che orbitano a una distanza di tre volte la distanza Terra-Sole e per lungo tempo sono stati considerati inattivi”.
P/2010 A2, questo il nome in sigla, appartiene alla ristrettissima cerchia degli oggetti chiamati “comete della cintura principale” con la testa di asteroide e la chioma di cometa (quelli scoperti fin qui si contano sulle dita di una mano). Da quando è stato avvistato, quindi, gli astronomi lo tengono d’occhio. Si è anche presa in considerazione l’ipotesi che si tratti della prima osservazione di una collisione fra due asteroidi. “Evento raro che tuttavia potrebbe verificarsi, sebbene nessuno lo abbia mai immortalato”, specifica l’astronomo dell’OA di Arcetri. Ma l’ipotesi sta perdendo quota alla luce delle nuove scoperte. “Abbiamo effettuato svariate osservazioni di P/2010 A2 con il Nordic Optical Telescope e con i telescopi dell’Osservatorio di Roque de los Muchachos dell’isola di La Palma delle Canarie”, prosegue Tozzi (qui un’immagine a colori di P/2010 A2 ripresa dai vari telescopi). “I dati indicano che la scia si è generata in diversi mesi. Appare improbabile che il responsabile di una attività prolungata nel tempo sia un fenomeno puntuale come un urto. Piuttosto, potremmo essere di fronte a un’altra prova dell’esistenza di asteroidi di acqua e ghiaccio, come suggerito recentemente da un articolo pubblicato sulla rivista Nature“.
Le implicazioni sarebbero profonde. “Prenderebbe forza l’ipotesi che siano stati gli asteroidi a portare l’acqua sulla Terra. Un mistero, questo, ancora tutto da spiegare, dopo che è tramontata l’ipotesi che siano state le comete. Le concentrazioni isotopiche di deuterio e di idrogeno dell’acqua di cometa non corrispondono a quelle degli oceani”. Che siano quindi stati gli asteroidi a “innaffiare” il nostro pianeta? “Serviranno missioni avanzate per confermarlo”, conclude l’astronomo.