Fiocco rosa nella costellazione del Centauro, a circa 10.000 anni luce di distanza. Una stella gigante, venti volte più massiccia del nostro Sole e con un raggio cinque volte superiore, è appena nata. Un gruppo internazionale di astronomi, tra cui Leonardo Testi, astronomo associato dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri (attualmente distaccato all’ESO, in qualità di European ALMA Project Scientist), ha colto la sua luce trapassare il bozzolo pre-natale di polvere e gas nel quale si è formata. È la prima volta che si ottiene evidenza diretta che le stelle massicce vengono “partorite” come le stelle di piccola massa da un disco protostellare. La scoperta, descritta questa settimana su Nature, è stata realizzata grazie a uno strumento AMBER, alla cui costruzione ha partecipato anche l’INAF, che ha permesso di combinare la luce di tre telescopi dell’ESO.
“Le nostre osservazioni mostrano un disco che circonda una giovane stella di grande massa allo stadio embrionale, ora completamente formatasi”, spiega Stefan Kraus dell’Università del Michigan che ha guidato la ricerca. I dischi circumstellari sono un ingrediente essenziale nel processo di formazione delle stelle di piccola massa come il Sole. Tuttavia, non è ovvio che questi dischi siano presenti anche durante la formazione di stelle massicce, oltre dieci masse solari, dove la forte luce emessa potrebbe impedire alla massa di cadere nella stella. Per esempio, è stato ipotizzato che le stelle massicce potrebbero formarsi dalla fusione di stelle più piccole.
“Questa scoperta indica che formazione delle stelle di grande stazza, quelle che dominano l’energetica dell’Universo, avviene nella stessa maniera di quelle di piccola taglia”, specifica Testi. “Questo ha due implicazioni: indica che le stelle primordiali, che erano stelle massicce, hanno seguito la stessa genesi e che le stelle massicce possono generare un sistema planetario. Infatti il disco protostellare è condizione necessaria perché si formi un sistema di pianeti intorno a una stella”.
La maxi-stella che fa capolino dal guscio di polvere si chiama IRAS 13481-6124. Dalle immagini d’archivio ottenute grazie al telescopio spaziale della NASA Spitzer e dalle osservazioni fatte con il telescopio submillimetrico da 12 metri APEX, gli astronomi hanno notato la presenza di un getto. “È comune osservare i getti intorno a giovani stelle di piccola massa e generalmente indicano la presenza di un disco”, dice Kraus. Per scoprire e comprendere le proprietà del disco, gli astronomi hanno utilizzato il Very Large Telescope Interferometer (VLTI) dell’ESO. Combinando la luce di tre dei telescopi ausiliari da 1.8 metri del VLTI con lo strumento AMBER, hanno potuto ottenere dati equivalenti a un telescopio con uno specchio di 85 metri di diametro. La risoluzione ottenuta è di circa 2,4 milliarcosecondi, che è come cogliere la capocchia di una vite sulla Stazione Spaziale Internazionale.
“AMBER ha fatto un ottimo lavoro”, dice soddisfatto Testi. “È stato il primo strumento costruito per utilizzare contemporaneamente più di due telescopi al VLTI. È costituito da un interferometro e uno spettrometro infrarosso per disperdere le frange di luce, con quest’ultimo realizzato proprio ad Arcetri. Ci aspettiamo di ottenere molte più informazioni quando sarà possibile utilizzare nuovi telescopi come ALMA che diventerà presto operativo in Cile”.