Il primo e più sconosciuto pianeta del Sistema Solare è vivo, geologicamente parlando. Sulla superficie di Mercurio ci sono le prove di attività vulcanica recente. È la sorprendente scoperta di una ricerca pubblicata questa settimana su Science, guidata da Louise Prockter della NASA, con il contributo di Gabriele Cremonese dell’INAF Osservatorio Astronomico di Padova e colleghi dell’Università di Padova, Simone Marchi e Matteo Massironi.
Mercurio è un po’ la Cenerentola del Sistema Solare. Il più vicino al Sole, il più piccolo tra i pianeti interni, difficile da osservare con i telescopi per l’abbagliante luce da cui è investito, è stato visitato nel 1974-75 dalla missione Mariner 10. Più di 30 anni dopo, la sonda MESSENGER della NASA, lanciata nel 2004 e ormai giunta a destinazione, torna a riaccendere i riflettori. Nei tre fly-by effettuati per il posizionamento nell’orbita definitiva (che sarà raggiunta nel marzo 2011), la sonda ha scattato foto che raccontano un passato meno placido di quanto si pensasse. Anche Mercurio, come recentemente si è scoperto per Venere, è stato scombussolato da eruzioni vulcaniche e travolto da tempeste magnetiche.
“In particolare abbiamo osservato un bacino di origine vulcanica caratterizzato da una superficie eccezionalmente liscia, dove un tempo scorreva lava”, spiega Cremonese. “Questa depressione, di 230 chilometri di diametro, presenta un anello circondato da depositi minerali brillanti che potrebbero costituire la più interessante evidenza vulcanica di Mercurio identificata finora”.
Grazie a un innovativo modello di datazione planetaria sviluppato proprio presso l’INAF-OA di Padova, è stato possibile stabilire che il bacino è più giovane di un miliardo di anni. “Il metodo combina il conteggio dei crateri sulla superficie con il flusso di meteoriti provenienti dalla Main Belt per effettuare una stima dell’età del pianeta sulla base degli impatti che si riscontrano sulla sua superficie”, prosegue l’astronomo. “Secondo i nostri calcoli, il bacino Rachmaninoff, come il noto pianista, potrebbe essersi formato negli ultimi 3-400 milioni di anni“.
Questa ipotesi di datazione è stata presentata da Cremonese in un articolo che sarà pubblicato in un numero speciale di Planetary and Space Science. “Siamo solo all’inizio, la missione MESSENGER ci mostrerà Mercurio come non l’abbiamo mai visto. Siamo felici di proseguire questa collaborazione con la NASA, che ha ritenuto il nostro il miglior modello per la datazione planetaria”, conclude l’astronomo.