In attesa di mantenere la promessa dell’energia pulita, l’idrogeno rischia di aiutarci a risolvere il mistero dell’energia oscura. È quanto spera un team di astronomi guidato da Tzu-Ching Chang, dell’Academia Sinica di Taiwan e dell’Università di Toronto, in un articolo pubblicato oggi su Nature. Avvalendosi di osservazioni effettuate con il più grande radiotelescopio orientabile al mondo, il Green Bank Telescope (GBT), Chang e colleghi hanno messo a punto un nuovo metodo per tracciare la mappa di strutture cosmiche a grande scala. Si chiama intensity mapping, dunque mappa dell’intensità, e misura l’emissione dell’idrogeno proveniente da migliaia di galassie remote. Se applicato ad ampie porzioni di Universo, potrebbe rivelare come le strutture a grande scala sono cambiate nel corso degli ultimi miliardi di anni: uno strumento ideale, dunque, per decidere quale, fra gli attuali modelli teorici dell’energia oscura, è il più accurato.
«È una mappa dell’idrogeno a distanze cosmiche mai raggiunte prima», spiega Tzu-Ching Chang per illustrare il progetto, «e dimostra che le tecniche da noi sviluppate si possono usare per tracciare la distribuzione a tre dimensioni di enormi volumi di Universo, consentendo così di mettere alla prova le teorie rivali sull’energia oscura». Tecniche che hanno permesso di rilevare più idrogeno di tutto quello mai osservato in passato, e a distanze dieci volte superiori a quelle delle emissione radio dell’idrogeno più distanti fino a ora conosciute.
L’energia oscura è la forza inafferrabile che, secondo i modelli cosmologici più in voga, sta causando l’accelerazione dell’espansione dell’Universo, del quale dovrebbe costituire circa il 70%. Una forza a oggi misteriosa, ma qualche indizio sulla sua natura potrebbe essere scoperto studiando le impronte delle onde acustiche generate in quella zuppa primordiale di materia ed energia che era l’Universo all’origine. Impronte rilevabili, appunto, nella distribuzione a grande scala delle galassie.
Il principale vantaggio della tecnica messa a punto dal team di Chang è quello di riuscire a misurare questa distribuzione non più osservando le galassie una a una, bensì raccogliendo in un colpo solo l’emissione dell’idrogeno da porzioni di Universo molto più estese, contenenti migliaia di galassie. Non solo: poiché le onde radio provenienti da nubi d’idrogeno così distanti sono estremamente deboli, i ricercatori hanno anche sviluppato nuovi metodi in grado di rimuovere sia le interferenze generate dall’uomo sia le emissioni provenienti da sorgenti astronomiche vicine. Esaltando così le già notevoli capacità del Green Bank Telescope, un mostro da 100 metri di diametro che sorge in un luogo—a Pocahontas County, in West Virginia—denominato non a caso Quiet Zone: la «zona quieta», una sorta di area protetta nella quale le interferenze radio sono costantemente controllate e ridotte al minimo. Infine, per verificare la validità della loro tecnica, i ricercatori hanno confrontato i risultati con la mappa della stessa porzione di cielo osservata in ottico dal telescopio Keck II, nelle Hawaii.
«La nuova tecnica osservativa ideata dal team guidato da Chang», commenta Tiziana Venturi, radioastronoma dell’INAF-IRA di Bologna, «promette grandi risultati nello studio dell’evoluzione del nostro Universo. È un lavoro entusiasmante». Il prossimo passo vedrà probabilmente l’ampliarsi delle osservazioni, e dunque della «rete cosmica» tracciata dall’idrogeno, ad altre porzioni di cielo.