Nuove importanti scoperte arrivano da Planck, il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea dedicato allo studio dell’Universo primordiale. Dalle osservazioni del cielo nelle microonde, Planck ha ottenuto le prime immagini di ammassi di galassie, tra gli oggetti cosmici più grandi che si conoscano, sfruttando il cosiddetto effetto “Sunyaev-Zel’dovich” (SZ), una traccia inconfondibile da essi lasciata sulla radiazione di fondo cosmico diffusa. Ulteriori indagini condotte con un altro telescopio spaziale dell’ESA, XMM-Newton, hanno poi permesso di scoprire che uno degli ammassi individuati è in realtà molto più grande di quanto ritenuto, e che per questo è stato classificato come “superammasso” di galassie, il primo ad essere identificato grazie all’effetto SZ.
Nell’Universo la materia non si distribuisce in modo uniforme: le stelle sono infatti concentrate nelle galassie e le galassie a loro volta si aggregano insieme, per creare enormi ammassi circondati da altrettanto estese regioni di spazio vuoto. Gli ammassi possono contare anche mille galassie e sono permeati da gas caldo che emette un intenso flusso di radiazione nella banda dei raggi X. Inoltre, gran parte della loro massa è composta da materia oscura. Ad una scala ancora più grande troviamo i superammassi, sterminati agglomerati di gruppi ed ammassi di galassie. Questi oggetti celesti ci danno informazioni sulla distribuzione della materia nell’Universo – sia quella visibile che quella oscura – e quindi la loro osservazione è determinante per comprendere l’origine e l’evoluzione delle strutture cosmiche.
“La scoperta degli ammassi e del superammasso è tra le più eclatanti nell’ambito di quelle già messe a segno da Planck” commenta Reno Mandolesi dell’INAF, Principal Investigator dello strumento LFI a bordo del satellite. “La rivelazione di questi oggetti celesti con il metodo SZ è da considerarsi una vera e propria pietra miliare della missione”.
E infatti la strumentazione di Planck, basata su rivelatori di radiazione compresa tra 30 e 857 GHz, è stata accuratamente progettata per riuscire a rivelare la presenza nello spazio di grandi gruppi di galassie sfruttando l’effetto “Sunyaev-Zel’dovich”. Questo fenomeno si produce quando i fotoni che costituiscono la radiazione cosmica di fondo attraversano un grande ammasso di galassie e da questa interazione subiscono una variazione nella loro energia.
“Nel loro viaggio nel cosmo, i fotoni che costituiscono la radiazione fossile prodotta dal Big Bang, interagiscono con la materia che incontrano: quando ad esempio attraversano un ammasso di galassie, i fotoni urtano gli elettroni liberi presenti nel gas caldo che permea l’ammasso” spiega Nabila Aghanim dell’Institut d’Astrophysique Spatiale di Orsay, Francia, uno dei ricercatori che ha guidato l’analisi dei dati di Planck alla ricerca di sorgenti SZ. “Queste collisioni ridistribuiscono le frequenze dei fotoni in un modo del tutto peculiare che ci permette di separare l’effetto prodotto dall’ammasso rispetto al segnale della radiazione cosmica di fondo”.
Dopo l’identificazione delle sorgenti, gli scienziati hanno puntato verso di esse il telescopio orbitante per raggi X XMM-Newton, consapevoli del fatto che gli ammassi di galassie emettono grandi quantità di radiazione in quella banda. Grazie a queste osservazioni complementari, gli astronomi sono stati così in grado di confermare che i segnali individuati da Planck erano prodotti da ammassi di galassie. E in un caso, da una struttura ancor più grande: un superammasso, composto da almeno tre gruppi estremamente massivi di galassie.
“Sebbene lo scopo principale della missione Planck sia quella di dare una descrizione precisa della radiazione primordiale generata durante le prime fasi di vita dell’Universo, l’altissima qualità dei dati di questo satellite permette di fare delle scoperte molto importanti anche su oggetti come galassie e ammassi di galassie” commenta Paolo Giommi, responsabile del centro analisi dati ASDC dell’Agenzia Spaziale Italiana. “È particolarmente rilevante che i risultati siano stati ottenuti combinando dati di due satelliti apparentemente cosi’ diversi come Planck ed XMM, due missioni ESA con un forte contributo italiano”.