Lanciato in orbita nel 2007 per sondare i fenomeni più violenti dell’universo remoto, il satellite AGILE – piccolo gioiello tutto italiano dell’ASI, realizzato in collaborazione con l’INAF e l’INFN – raccoglie risultati sorprendenti anche quando gli cade l’occhio verso terra. È infatti mentre osservava il nostro pianeta che ha iniziato a rivelare, già due anni fa, i lampi gamma terrestri (Terrestrial Gamma-Ray Flashes, TGF). Ora, come descritto in uno studio appena pubblicato su Physical Review Letters, il team di AGILE mette a segno un nuovo, importante, risultato: la misurazione, con un’accuratezza senza precedenti, della direzione di provenienza di alcuni fotoni a essi associati. In altre parole, AGILE è riuscito a localizzare dove vengono generati i TGF.
«Già prima, con il calorimetro (uno degli strumenti a bordo del satellite), riuscivamo grosso modo a delimitare la regione geografica in cui venivano prodotti», spiega Martino Marisaldi, primo autore dello studio e ricercatore all’INAF-IASF di Bologna, «in quanto determinata dal cono di visibilità di AGILE al momento della rivelazione. Ma questo cono di visibilità ha un raggio, sulla Terra, di 2600 chilometri, all’interno del quale, in linea di principio, non potevamo sapere dove esattamente era stato generato il lampo, perché il calorimetro non ha capacità di imaging, e dunque d’individuare la direzione di provenienza. Abbiamo quindi provato a localizzarli mediante lo strumento di più alta energia a bordo del satellite, il Gamma-Ray Imaging Detector (GRID), sensibile a energie oltre i 20 MeV e in grado di misurare, con buona precisione, la direzione di provenienza di ogni singolo fotone. E ci siamo riusciti: su 120 TGF esaminati, ne abbiamo trovati 8 con almeno un fotone localizzato dal GRID ».
I lampi gamma terrestri sono uno dei più elusivi fenomeni geofisici. Sono lampi di radiazione (raggi gamma ed elettroni) di durata molto breve, fino a pochi millisecondi, ma al tempo stesso molto energetici. Sono prodotti tipicamente nel corso di violente tempeste tropicali. Benché siano osservati dallo spazio da oltre 16 anni, la loro natura è ancora per molti aspetti motivo di dibattito fra gli scienziati. I punti di domanda riguardano i meccanismi che stanno alla base della loro produzione, le regioni delle nubi in cui avviene la loro generazione, la massima energia raggiungibile e la loro correlazione con i fulmini “normali”. Interrogativi ai quali cercano da dare risposta i tre telescopi spaziali attualmente in grado di osservare i TGF: oltre ad AGILE, i due satelliti della Nasa RHESSI e Fermi. «A rendere AGILE così competitivo per lo studio dei TGF», continua Marisaldi, «sono soprattutto due aspetti. Anzitutto, la velocità del calorimetro, in grado di rivelare transienti di durata inferiore al millisecondo, che è proprio il tempo scala di questi fenomeni. Per quanto riguarda il GRID, invece, l’asso nella manica è il sistema di trigger di bordo, sufficientemente flessibile da permetterci di rivelare questi eventi di provenienza terrestre che, in un satellite dedicato all’astrofisica, verrebbero normalmente interpretati come un fondo strumentale».
Nel frattempo, l’analisi dei dati di AGILE prosegue a ritmo serrato, e promette grandi sorprese. «Al momento ci stiamo concentrando sulle energie più alte, fra i 10 e 100 MeV. E presto pubblicheremo altri risultati, in particolare uno spettro», anticipa il responsabile scientifico di AGILE, Marco Tavani dell’INAF-IASF di Roma, anch’egli fra gli autori dello studio uscito su Physical Review Letters, «che mostrano parecchie novità rispetto a quanto ci si aspettava. Questi lampi, in realtà acceleratori di particelle naturali e molto potenti, davvero non smettono di stupirci».
Per saperne di più:
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