Un’enorme roccia avvolta in una coltre di detriti spessa oltre 600 metri. È il ritratto di Lutetia che sta emergendo dai dati raccolti lo scorso luglio da Rosetta, durante l’incontro ultra-ravvicinato—appena 3162 chilometri—fra la sonda dell’Esa e il remoto asteroide. Un tête-à-tête che ha avuto luogo a quasi mezzo miliardo di chilometri dalla Terra, e i cui risultati sono al centro del convegno che si sta tenendo, proprio in questi giorni, a Pasadena, fra i membri della Division for Planetary Sciences della American Astronomical Society.
Ma di che detriti si tratta? E cosa ci stanno a fare, attorno a Lutetia? «Si tratta di residui dovuti al susseguirsi di frequenti impatti meteoritici», spiega Fabrizio Capaccioni, ricercatore all’INAF-IASF di Roma e vice-responsabile dello strumento VIRTIS (Visible InfraRed and Thermal Imaging Spectrometer), lo spettrometro a immagini a bordo di Rosetta. «Gli strati più superficiali, i primissimi centimetri, sono formati da grani estremamente piccoli: decine o centinaia di micron, dunque una polvere simile al talco. Un materiale analogo al regolite lunare, la polvere che si vede sollevare dagli astronauti nelle immagini delle missioni Apollo. Più si va in profondità, più il materiale si compatta, e i frammenti diventano sempre più grandi. Ciò significa che su Lutetia non vediamo, normalmente, rocce esposte. Le rocce stanno al di sotto dello strato di regolite».
Una conformazione, questa individuata da Rosetta, che può dirci molto della storia del grande asteroide. Le precedenti osservazioni da Terra hanno infatti lasciato aperte due possibilità: che Lutetia possa far parte della classe di asteroidi detti di “tipo C”, quelli più primitivi, oppure essere fra quelli metallici, detti di “tipo M”. «Alla luce dei dati raccolti da Rosetta, secondo me l’ago della bilancia pende ora decisamente più a favore delle condriti carbonacee», dice Capaccioni, sottolineando quanto sia però ancora prematuro trarre conclusioni. «Dunque, Lutetia come asteroide di “tipo C”. Corpi molto primitivi, che hanno subito pochissime variazioni dalla loro origine, che è legata alle prime fasi di formazione del Sistema solare, risalenti a 4.5 miliardi di anni fa».
Pur essendo solo uno fra gli obiettivi scientifici secondari della missione Rosetta, il cui scopo principale è lo studio della cometa Churyumov-Gerasimenko, il flyby attorno a Lutetia è stato anche un’ottima occasione per verificare il funzionamento degli strumenti di bordo, fra i quali VIRTIS, il cui canale a immagini è stato realizzato proprio negli istituti INAF di Roma. «Si tratta di uno spettrometro a immagine che lavora dal vicino ultravioletto fino all’infrarosso. Questo ci permette di ricavare informazioni sui primi strati superficiali degli oggetti osservati. E in occasione di questo flyby, VIRTIS si è comportato benissimo», afferma soddisfatto Capaccioni.
Quello con Lutetia era l’ultimo incontro in programma prima dal raggiungimento del traguardo finale, la cometa Churyumov-Gerasimenko, previsto per il 2014. Fino ad allora, la sonda Rosetta verrà posta in stato d’ibernazione, condizione necessaria a ridurre al minimo i consumi energetici. Ma per il team di scienziati che la segue l’attesa sarà tutt’altro che riposante. «Dobbiamo sfruttare al massimo questo periodo per mettere a punto, in ogni dettaglio, l’incontro con la cometa. Dunque, la sonda va sì in stand-by, ma per noi niente vacanza», assicura Capaccioni.
Qui puoi ascoltare l’intervista audio a Fabrizio Capaccioni:
[audio:https://www.media.inaf.it/audio/fabrizio-capaccioni.mp3|titles=Fabrizio Capaccioni intervistato da Marco Malaspina]