L’idrogeno è l’elemento chimico più leggero presente in natura, composto solo da un protone e un elettrone. Ma se assunto in grandi dosi, anzi in dosi smisuratamente grandi, può creare problemi di “linea” anche alle galassie. Ne sono convinti i ricercatori italiani che in un lavoro pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature propongono un nuovo scenario sull’evoluzione delle prime galassie dell’Universo: si sarebbero accresciute catturando enormi quantità di gas, essenzialmente idrogeno ed elio, presente in regioni di spazio vicine ad esse. Una teoria alternativa a quella oggi maggiormente accettata dagli astronomi. Che cioè siano stati drammatici e spettacolari scontri fra galassie a formare gli oggetti più massicci osservati, come ad esempio la nostra Via Lattea.
“Da qualche anno alcuni modelli teorici e osservazioni di galassie lontane hanno cominciato a suggerire che l’assorbimento continuo di gas potesse essere uno dei meccanismi principali che guida la formazione di nuove stelle nelle galassie più massicce dell’Universo primordiale” spiega Giovanni Cresci, dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri, primo autore dell’articolo. “Tuttavia mancava ancora l’osservazione diretta di questo gas all’interno delle galassie stesse: grazie agli innovativi e potenti strumenti del Very Large Telescope (VLT) ci siamo finalmente riusciti”.
Determinante per la scoperta è stato SINFONI, lo spettrografo installato al telescopio VLT dello European Southern Observatory (ESO) in Cile. Grazie alle sue caratterisitche di avanguardia, è stato utilizzato dagli astronomi per indagare la composizione chimica del gas presente in tre galassie a disco, distanti oltre 12 miliardi di anni luce da noi e che quindi si erano già formate solo 2 miliardi di anni dopo il Big Bang. Il punto di forza di SINFONI è la sua capacità di fornire informazioni su come è distribuita la materia nelle galassie e, soprattutto, da cosa è composta. Questo ha permesso di studiare per la prima volta in galassie così distanti la variazione della composizione chimica del gas dal loro centro fin verso la periferia.
In ognuna delle tre galassie sono state individuate alcune zone vicine al centro e ricche di stelle in formazione, ma assai povere di elementi chimici più pesanti dell’idrogeno. Una scoperta sorprendete, che è in disaccordo con le previsioni fornite dalla maggior parte dei modelli teorici di evoluzione chimica e a quello che si osserva in galassie vicine a noi, dove la quantità di elementi chimici più pesanti dell’idrogeno diminuisce via via che ci si sposta verso regioni esterne della galassia.
Le osservazioni confermano così lo scenario in cui la formazione di nuove stelle è associata all’accrescimento di gas primordiale nelle regioni centrali: le zone esterne delle galassie sono arricchite in elementi pesanti prodotti all’interno delle stelle, mentre la scarsezza di elementi pesanti in quelle prossime al centro è dovuta al nuovo gas extragalattico, quasi totalmente composto da idrogeno. “Molti dei modelli di formazione ed evoluzione delle galassie andranno ripensati alla luce di questi risultati” prosegue Cresci. “Ed è grande la soddisfazione che un tassello così importante del mosaico sia stato ottenuto dal nostro gruppo di ricerca, tutto italiano”.
Soddisfazione condivisa anche dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), che ha in parte finanziato l’attività di ricerca del team: “ASI da anni supporta lo studio dell’Universo attraverso il finanziamento sia di attività di sviluppo di modelli teorici che di analisi dati, finalizzate alla progettazione di nuovi strumenti per le future missioni spaziali” dice Barbara Negri, Responsabile dell’Unità Esplorazione e Osservazione dell’Universo dell’Agenzia Spaziale Italiana.
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