Flash-back: sono passati 800 milioni di anni dal Big Bang. L’Universo è un posto buio e molto attivo. Si formano le prime stelle nelle galassie primordiali, “fagocitando” enormi quantità di elio e idrogeno (come ha mostrato recentemente uno studio dell’INAF apparso su Nature). Ma non c’è luce a illuminarle. Le tenebre dominano. Questa è la scena scrutata dal telescopio spaziale Hubble. Nuovi dati ottenuti dall’osservatorio della Nasa e dell’ESA mostrano che le primissime stelle dell’Universo sarebbero state capaci di generare sufficiente radiazione ultravioletta per ionizzare e riscaldare la gran parte del gas intergalattico. A descrivere il legame tra galassie primordiali e re-ionizzazione cosmica è uno studio su Nature firmato da Brant Robertson e colleghi del California Institute of Technology di Pasadena.
Per re-ionizzazione si intende quell’ondata di intensissima radiazione che, circa 13 miliardi di anni fa, strappò elettroni agli atomi di idrogeno che pervadevano l’Universo primordiale, ionizzandoli com’erano in origine, dopo il Big Bang. Secondo le osservazioni di Hubble, ci sarebbero nuove, convincenti evidente che a emettere questi fotoni ionizzanti siano state le stelle massive della prima generazione. Quello che mancava per consolidare questa ipotesi era conoscere quanta radiazione ultravioletta sia stata prodotta dalle prime stelle e quanta frazione della radiazione ionizzante sia sfuggita dalle galassie per diffondersi nel mezzo intergalattico.
Le recenti osservazioni di Hubble hanno stimato l’abbondanza e le proprietà delle galassie con un redshift vicino al 7, quando l’Universo aveva solo 800 milioni di anni. Pur con qualche incertezza, sembra proprio che la popolazione di galassie dell’epoca sia stata in grado di produrre i fotoni richiesti per la re-ionizzazione cosmica. Sono già in programma ulteriori censimenti di Hubble nell’era buia dell’Universo per dichiarare definitivamente risolto il caso.