Mettiamo che vi occorra un telescopio con uno specchio veramente grande. Che ne direste di provarne uno da 3476 chilometri di diametro? È quello che hanno fatto tre radioastronomi della University of Iowa — Ted Jaeger, Robert Mutel e Kenneth Gayley – nel disperato tentativo di catturare le particelle più inafferrabili dell’universo: i neutrini ad altissima energia. Il loro gigantesco “specchio” non è altro che la Luna, e per vedere eventuali neutrini da essa catturati l’hanno spiata per 200 ore con un’intera squadra di radiotelescopi: le antenne dell’Expanded Very Large Array (E-VLA), in New Mexico, equipaggiate per l’occasione con strumenti elettronici ad hoc.
Ebbene, non è stato sufficiente: nessun Ultra-High-Energy-Neutrino (neutrini con energia superiore a 1018 eV) è rimasto impigliato nella rete. Ma questo non significa che l’ingegno e lo sforzo non siano stati premiati. Proprio in virtù dell’assenza di rilevazioni, Jaeger e colleghi sono riusciti ad abbassare il limite superiore per la quantità di questo tipo di neutrini nell’universo. Il risultato del loro esperimento è stato pubblicato oggi su Astroparticle Physics. Per gli astrofisici, si tratta di dato comunque importantissimo, perché permette di scartare un certo numero di modelli di produzione dei neutrini ad altissima energia.
Gli astrofisici ritengono che gli Ultra-High-Energy-Neutrino possano provenire da sorgenti extragalattiche, come i buchi neri presenti nel cuore delle galassie a nucleo attivo. O da fenomeni come l’interazione fra i raggi cosmici e la radiazione del fondo a microonde, l’annichilazione della materia oscura, o addirittura da “strappi” nel tessuto dello spazio-tempo. «Certo sarebbe interessantissimo studiarli, perché aprirebbero una finestra nuova per comprendere il tipo di interazione che li produce. Generalmente richiedono grandissimi apparati sperimentali, come per esempio IceCube. Ma fino ad ora di Ultra-High-Energy-Neutrino non ne sono mai stati osservati», conferma Walter Fulgione, ricercatore dell’INAF-IFSI di Torino, attualmente impegnato al Gran Sasso con un’altra trappola per neutrini (a energie molto più basse, però), LVD, il Large Volume Detector.
Oltre al risultato scientifico in sé, l’importanza dell’esperimento dei radioastronomi dello Iowa è che ha permesso di mettere a punto un sistema quanto mai ingegnoso e con notevoli prospettive: catturare i neutrini ad altissima energia con un radiotelescopio, uno strumento che a prima vista non ha nulla a che vedere con questo tipo di osservazioni. I radiotelescopi, infatti, non sono in grado di rivelarli direttamente. Come fanno, allora? «Il principio è quello sfruttato dai telescopi Magic, alle Canarie: quello che rivelano è l’effetto Čerenkov, la cascata che i raggi gamma di altissima energia producono quando interagiscono con l’atmosfera», spiega Marcello Giroletti, radioastronomo all’INAF-IRA di Bologna. «In questo caso, però, il trigger non avviene in atmosfera, bensì nella Luna. E la cascata dovrebbe venire rivelata, appunto, da radiotelescopi. Dal punto di vista osservativo è molto complicato, ma il neutrino è una particella così sfuggente che vale sicuramente la pena provarci. Ci stanno già lavorando anche gli australiani, pensando a SKA, che garantirebbe l’accoppiamento ideale: uno strumento molto sensibile per un segnale molto debole». Quanto all’utilizzo della Luna come rivelatore, osserva Giroletti, «il nostro satellite naturale si rivela doppiamente interessante: sia come base per costruirci nuovi strumenti, sia come strumento esso stesso».