Una versione in grande di LHC. In cielo. A circa 7.500 anni luce dalla Terra, il sistema stellare Eta Carinae, costituito da due stelle orbitanti tra le più massive della nostra galassia, forma un acceleratore cosmico simile, nel meccanismo, al più grande anello di particelle per le alte energie costruito in Terra, il Large Hadron Collider del Cern. Ma più potente e, ovviamene, di dimensioni incomparabili.
È quanto suggeriscono le osservazioni dei satelliti FERMI e INTEGRAL della NASA, e prima ancora del satellite italiano AGILE. Gli osservatori spaziali hanno registrato raggi cosmici energetici provenienti da Eta Carinae. Secondo Roland Walter che lavora nel gruppo INTEGRAL dell’Università di Ginevra, la spiegazione più plausibile per decifrare queste energetiche emissioni è lo scontro di fasci di protoni.
Nel corso del Texas Symposium on Relativistic Astrophysics, tenuto a Heidelberg, in Germania, Walter ha spiegato che i protoni sarebbero spinti dai forti venti generati dalle stelle massicce e resterebbero intrappolate all’interno del loro intenso campo magnetico, rimbalzando avanti e indietro e guadagnando energia a ogni slancio. Qualcosa di simile, insomma, a quello che avviene nel gigantesco tunnel sotterraneo lungo 27 chilometri, dove fasci opposti di protoni vengono accelerati da grandi magneti e collidono fra loro raggiungendo un’energia pari a 7 Teraelettronvolt (TeV), la più alta mai raggiunta in laboratorio.
I venti che soffiano da Eta Carinae sono straordinariamente densi: ogni settimana, viene espulsa da queste stelle una massa equivalente a quella della Terra. Secondo quanto stimano i ricercatori, i protoni di Eta Carinae toccherebbero energie di almeno 10 TeV. Sarebbe “la migliore evidenza che i venti stellari possono accelerare i protoni ad alte energie”. Inoltre, i forti venti di Eta Carinae trasportano atomi carichi e gli scienziati hanno ipotizzato che quando i protoni collidono con gli ioni si producano particelle chiamate pioni, che generano raggi gamma e raggi cosmici. Un fatto previsto da tempo, per il quale tuttavia mancavano evidenze sperimentali. Eta Carinae potrebbe fornire la prima prova per avvalorare questo modello.
È cauta Patrizia Caraveo, responsabile per lo sfruttamento scientifico della missione Fermi per l’INAF: “Non è affatto detto che si tratti di protoni. C’è la possibilità che si tratti di elettroni, un meccanismo molto più comune”. Inoltre, sottolina la Caraveo, nel cosmo esistono acceleratori di particelle ben più potenti: “Per esempio le pulsar accelerano particelle, elettroni e positroni, ad energie molto più alte e i raggi cosmici galattici arrivano ad energie molto, molto più alte di quelle registrate da Eta Carinae”.
Un caso che resta emblematico della relazione profonda tra i fenomeni su grande scala e i costituenti fondamentali della materia. Spiega Federico Antinori dell’INFN di Padova e ricercatore all’esperimento ALICE di LHC, al Cern: “La coincidenza di questo annuncio con la fine del primo anno di presa dati a LHC fa riflettere sulla complementarità fra astrofisica e fisica delle particelle elementari. Da una parte, lo studio della radiazione cosmica ad alte energie ci permette di conoscere sempre meglio i fenomeni astrofisici. Dall’altra, gli acceleratori di particelle come l’LHC, ci permettono di riprodurre a piacimento fenomeni estremi al centro di rivelatori costruiti con tecnologie di punta, e di studiarli in maniera controllata per capire sempre meglio il funzionamento della natura alle scale infinitesimali”.
Gli estremi di queste linee di ricerca si avvicinano in maniera sempre più sorprendente. Prosegue Antinori: “L’osservazione dell’Universo ci permette di formulare ipotesi sulle proprietà delle particelle elementari, lo studio delle interazioni tra particelle ci permette di risalire a fenomeni presenti solo nei primi istanti di vita dell’Universo. Per esempio, nel mese di novembre ad LHC sono state realizzate le prime collisioni tra nuclei, che hanno permesso di raggiungere in laboratorio temperature di migliaia di miliardi di gradi. Per ritrovare condizioni così estreme in natura bisogna risalire a qualche milionesimo di secondo dopo il Big Bang”.