Dopo l’ultima, grande abbuffata di gas e materia, il gigante s’è quietato. Ma si sveglierà. Non sappiamo quando accadrà e in che modo, ma è certo che, non appena finirà il periodo letargico, Sagittarius A * – il buco nero supermassivo al centro della Via Lattea – sarà molto affamato. E ricomincerà a divorare tutto ciò che lo circonda. “Nessun pericolo per la Terra, è troppo lontano da noi”, assicura Tomaso Belloni, astronomo dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera e coordinatore del network europeo per studiare i buchi neri, “Black Hole Universe”. “Per chi abita da quelle parti, però, non sarà affatto piacevole”.
Gli scienziati che studiano i buchi neri massicci sono molto interessati a capire le dinamiche per cui i buchi neri s’attivano e si spengono. Per motivi non ancora chiari, questi mostri cosmici al centro delle galassie mostrano un ventaglio di attività, che varia dallo stato letargico all’iperattività degli AGN (nuclei galattici attivi). Ora grazie a una vastissima indagine del telescopio Chandra della NASA, gli scienziati sanno qualcosa in più di come si comportano i buchi neri, e in particolare di quale sarà il futuro del mostro al centro del nostra galassia.
Lo studio, apparso su Astrophysical Journal, ha analizzato nell’ottico e nei raggi X le immagini di circa 100 mila galassie di dimensioni simili alla Via Lattea, nell’Universo vicino. “Abbiamo scoperto che solo circa l’uno per cento di galassie con masse simili alla Via Lattea contengono buchi neri nella loro fase più attiva”, ha detto Daryl Haggard dell’Università di Washington, a Seattle, primo autore della ricerca. “Analizzare quanti buchi neri sono attivi in ogni momento è importante per comprendere come i buchi neri crescono all’interno delle galassie e in che modo la loro crescita è influenzata e influenza l’ambiente circostante”, aggiunge Belloni.
Oltre alla conferma della sorprendente correlazione tra la massa dei buchi neri giganti e la massa delle regioni centrali della galassia che li ospita, dallo studio è emerso un dato significativo: più si va indietro nel tempo, studiando le galassie più lontane, più aumenta la frazione di buchi neri attivi, o AGN. “In altre parole -interviene Belloni – questo indica che con il passare del tempo è diminuita la probabilità che un buco nero si risvegli e aumentano statisticamente i periodi d’inattività”, spiega Belloni. Questo implica che la fornitura di combustibile o il meccanismo di rifornimento per i buchi neri si modifica con il tempo.
Possiamo prevedere allora cosa succederò al nostro buco nero più grande, Sgr A *? “Salvo poche eccezioni, questo buco nero, come la maggior parte dei buchi neri più piccoli che osserviamo nella nostra galassia, è al momento inappetente, se non proprio a digiuno, per usare una metafora”, dice l’astronomo INAF. “In base alle stime effettuate da Chandra, possiamo stimare che si abbufferà ancora per un periodo pari a circa l’1% della durata di vita residua del Sole, pari a circa 5 miliardi di anni. Quando tornerà attivo, sarà circa un miliardo di volte più brillante nei raggi X”.