“Not-so-standard candles”, ossia “candele non proprio standard” è il tema della serie di conferenze stampa in corso in questi minuti a Seattle, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, durante il 217° Meeting dell’American Astronomical Society . E trattandosi di un importante convegno di astrofisica, l’argomento non riguarda ovviamente lumi di cera, ma particolarissimi oggetti celesti che per le loro caratteristiche, ritenute molto stabili, vengono utilizzati come sistemi di riferimento per misure di distanze o flussi di radiazione. Recenti studi mettono in discussione alcuni di questi assunti. Cosa c’è che oggi non convince gli astronomi?
Comincia a spiegarlo Massimo Marengo, ricercatore italiano della Iowa State University, presentando la sorprendente scoperta della perdita di massa nella stella variabile Delta Cephei , a cui ha partecipato anche Giuseppe Bono, ricercatore dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma e dell’Università Tor Vergata. Sorprendete perché finora gli astronomi ritenevano che la massa di Delta Cephei e più in generale di tutte le stelle variabili appartenenti alla classe delle Cefeidi fosse molto stabile. Recenti osservazioni realizzate dal telescopio spaziale Spitzer della NASA hanno invece rivelato per la prima volta la presenza di un guscio di gas intorno a Delta Cephei. Questo alone, frutto di un vento che soffia via gli strati più esterni dell’atmosfera dell’astro, influenza la luminosità della stella rendendola meno brillante nella luce visibile e quindi facendola apparire più distante di quanto sia in realtà.
“Finora tutti i modelli teorici che descrivono la fisica delle variabili cefeidi non tenevano in considerazione questo fenomeno di perdita di massa, anche se si sospettava che questo sarebbe potuto avvenire”, commenta Giuseppe Bono, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma e dell’Università Tor Vergata, che ha collaborato allo studio. “Ora le osservazioni di Spitzer ci danno non solo la conferma della presenza del vento stellare in Delta Cephei, ma ci consentono di dare una valutazione precisa della sua entità, anche se avremo bisogno di ulteriori misure di perdita di massa in cefeidi di periodo diverso. Queste informazioni saranno di fondamentale importanza per migliorare la comprensione del meccanismo fisico che regola l’evoluzione e la luminosità delle Cefeidi e, di conseguenza, avere misure sempre più precise delle distanze nell’Universo”.
Le Cefeidi infatti pulsano con un ritmo regolare che è strettamente legato al periodo di tempo che intercorre tra un massimo e l’altro della loro luminosità. Questa caratteristica unica consente agli astronomi di determinare dalle oscillazioni della luce di una cefeide e dalla sua luminosità apparente nel cielo quale deve essere la sua distanza da noi. Ovviamente la presenza di gas e polvere intorno ad essa riduce la sua luminosità apparente, introducendo un errore nella stima della sua distanza. Un errore che può essere corretto conoscendo l’entità dell’attenuazione prodotta dallo schermo gassoso davanti alla stella, rendendo ancor più affidabile tutto il sistema della scala delle distanze cosmiche di cui il metodo delle Cefeidi è il primo, fondamentale “piolo”.
A seguire, con l’intervento di Marco Tavani, dell’INAF-IASF di Roma si passa dalle stelle alle nebulose. E in particolare una, quella del Granchio, “osservata speciale” dagli astronomi di tutto il mondo e una delle sorgenti più brillanti del cielo nei raggi X e gamma. Finora, la Nebulosa non aveva mai dato segni di variabilità, e anzi, grazie alla costanza del suo flusso, era sempre stata usata come sorgente di riferimento. Ma, inaspettatamente, le osservazioni del satellite italiano AGILE il 19 e 22 settembre scorso, confermate poi dalla missione Fermi, hanno rivelato una forte emissione transiente di raggi gamma proveniente dalla Nebulosa. E dunque anche l’emissione di radiazione da questo corpo celeste non è forse così “standard” come ritenuto finora.
Per saperne di più