Osservato ai raggi X, tutto il cielo appare illuminato. Sebbene lontano da fonti di luce, i raggi X provenienti da oltre la nostra galassia forniscono una luce costante in ogni direzione. Per gli astronomi esiste il sospetto che i principali fautori di questo background cosmico nei raggi X siano i buchi neri avvolti nella polvere al centro di galassie attive. Ma il numero di quelli rilevati non è tale da poterlo comprovare.
Un team internazionale di astronomi, utilizzando i dati del satellite SWIFT della NASA, missione a cui partecipano anche ASI e INAF, hanno però confermato l’esistenza di una popolazione invisibile, almeno in gran parte, di galassie attive con buchi neri le cui emissioni X sono però largamente assorbite che solo una dozzina di queste sono note: la punta dell’iceberg.
“Buchi neri completamente cappati sono tutti intorno a noi”, ha detto Neil Gehrels, il P.I. di Swift al NASA Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland, e co-autore del nuovo studio (in pubblicazione sul numero del 10 febbraio di Astrophysical Journal) “Prima di Swift, apparivano troppo deboli e oscurati perché potessimo individuarli”.
La maggior parte delle grandi galassie contiene un gigantesco buco nero centrale: quelli osservati nello studio di Swift hanno una massa di circa 100 miliardi di volte la massa del sole. In una galassia attiva la materia che cade verso il buco nero supermassiccio produce emissioni di alta energia così intensa che due classi di galassie attive, quasar e blazar, hanno il rango di oggetti più luminosi dell’Universo.
Lo sfondo a raggi X ha portato gli astronomi a sospettare che le galassie attive siano state sottostimate. Gli astronomi infatti non possono mai essere certi neanche di aver rilevato la maggior parte di quelle a noi più vicine, perché le dense nubi di gas e polveri che circondano i buchi neri ne schermano la luce nell’ultravioletto, ottico e raggi X di bassa energia. L’infrarosso può superare questa barriera, ma rischia di essere confuso con la polvere calda che si riscontra nelle regioni di formazione stellare della galassia.
Tuttavia, alcuni dei più energici raggi X prodotti dai buchi neri riescono a penetrare il mantello che lo avvolge, ed è qui che entra in gioco SWIFT.
“Con SWIFT abbiamo quantificato esattamente il numero di galassie attive che si trovano in realtà intorno a noi “, ha detto Marco Ajello dello SLAC National Accelerator Laboratory, di Menlo Park, California, “Il numero è grande ed è in accordo con i modelli, secondo cui i buchi neri sono responsabili della maggior parte del fondo di raggi X”. Se i numeri ipotizzati rimangono coerenti anche a grandi distanze, quando l’universo era più giovane, vorrrà dire che ci sono abbastanza buchi neri supermassicci per tenere conto del fondo cosmico a raggi X.
“Queste galassie attive sono molto difficili da trovare – dice Davide Burlon, primo autore dell’articolo, del Max Planck Institute e associato INAF – su un campione di 199 fonti ne abbiamo rilevate solo nove”. “Anche lo strumento BAT di Swift – prosegue Burlon – ha difficoltà a trovare queste sorgenti così fortemente assorbite, e sappiamo che il numero è sottostimato, queste sono molto numerose e possono costituire il 20-30% del totale”.
Quanto ipotizzato si mostra coerente con l’idea che il fondo cosmico a raggi X sia il risultato delle emissioni di buchi neri supermassicci nascosti nelle galassie attive quando l’universo aveva sette miliardi di anni, cioè circa la metà della sua età attuale.
Tra gli autori dello studio anche Andrea Comastri, dell’Osservatorio Astronomico di Bologna dell’INAF e che ha contribuito significativamente allo sviluppo modelli più recenti, a cui fa riferimento Ajello, ampiamente riconosciuti a livello internazionale.