Ventuno grammi: a tanto ammontava il peso dell’anima stando a un film di successo di qualche anno fa. Fosse vero, anche a metterci dieci zeri davanti esistono bilance che sarebbero comunque in grado di rilevarne le presenza. Sono le microbilance a cristalli di quarzo progettate nei laboratori dell’INAF-Osservatorio astronomico di Capodimonte (NA). Costruite per misurare la massa della polvere presente nella chioma delle comete, nell’atmosfera di Marte o negli spazi interstellari, sono sensibili a variazioni di appena un miliardesimo di grammo.
Quanto ad analisi di polveri spaziali, i laboratori di Capodimonte non temono rivali nel mondo. Se n’è accorta anche la Nasa, che proprio a loro ha affidato parte del raccolto portato sulla Terra, dopo un viaggio di 4.6 miliardi di chilometri, dalla sonda Stardust: sette preziosissimi grani lasciati per strada dalla cometa Wild-2, nei quali i ricercatori partenopei rinvenirono tracce di ammine e lunghe catene carboniose, ovvero l’ossatura delle molecole organiche, indispensabili per la formazione della vita. Sempre dalle mura dell’Osservatorio di Capodimonte è uscito anche lo strumento GIADA. Lanciato a bordo del satellite Rosetta dell’Esa nel febbraio del 2004, GIADA è attualmente in viaggio verso Churyumov-Gerasimenko, una cometa che si trova a circa un miliardo di chilometri dalla Terra. La raggiungerà nel maggio del 2014, dopo uno slalom fra pianeti e un passaggio mozzafiato attraverso la cintura degli asteroidi, l’attraversamento più pericoloso di tutto il nostro Sistema Solare.
Una volta in orbita attorno alla cometa, i computer di bordo risveglieranno GIADA da un lungo sonno artificiale e nel laboratorio robotizzato che si trova al suo interno, un vero concentrato di gioielli tecnologici, avrà inizio l’attività: catturare e analizzare le particelle e le micropolveri disperse della chioma della cometa. E anche la missione ExoMars, un lander che atterrerà sulla superficie di Marte con un piccolo payload – nella stagione delle tempeste di polvere – per misure di tipo ambientale, si avvarrà di uno strumento, MEDUSA (Martian Environmental DUst Systematic Analyser), progettato dai ricercatori di Napoli.
Al cuore di tutto c’è un microscopico dischetto di quarzo. Come quelli che danno il clock ai computer. O ai nostri orologi. La loro caratteristica è quella di oscillare a ritmo estremamente costante. A volte, però, anche i cristalli di quarzo perdono qualche colpo. Per esempio, quando vi si deposita sopra un po’ di polvere. Ed è proprio sfruttando questo difetto che le microbilance dell’INAF riescono a rilevare particelle di massa pari ad appena un miliardesimo di grammo.
Prestazioni tali da rendere questi sensori miniaturizzati ideali per mille applicazioni anche sulla Terra, ovunque occorrano misure accurate delle polveri ultrasottili: dal monitoraggio attivo di particelle nell’atmosfera terrestre a quello del particolato prodotto in seguito a esplosioni. Non solo: i sensori di polvere possono essere utilizzati anche a bordo di piccoli velivoli teleguidati, per esempio per monitorare zone di difficile accesso. Aree ad alta radioattività, dunque, o investite da incendi, colpite da incidenti chimici o da eruzioni vulcaniche. Le informazioni sulle caratteristiche fisiche e sulla concentrazione della polvere possono essere fornite in tempo reale, mentre le caratteristiche chimiche del campione raccolto possono essere analizzate in un secondo tempo nei laboratori a terra.
Anche polveri come quelle generate dal vulcano islandese Eyjafjöll, che nella primavera 2010 ha bloccato il traffico aereo di mezza Europa?
«Sicuramente sì», ci spiega Francesca Esposito, ricercatrice all’INAF-Osservatorio astronomico di Capodimonte, dove si occupa proprio della progettazione delle microbilance. «Tutto il lavoro che abbiamo fatto per le applicazioni spaziali può essere trasferito ad applicazioni terrestri. Per esempio, abbiamo sviluppato uno strumento, molto simile a quello che stiamo preparando per Marte, pensato per misure di particolato sottile qui sulla Terra. Oltre al particolato che si produce normalmente per l’inquinamento – a causa dei copertoni delle auto che si sgretolano, dello smog, quelle insomma che chiamiamo PM2.5 o PM10, le polveri sottili che limitano la circolazione del traffico nelle nostre città – potremo analizzare anche le polveri che vengono prodotte in seguito a eruzioni vulcaniche, a esplosioni e quant’altro. Quest’oggetto, infatti, è stato pensato per essere posizionato su un velivolo radiocomandato, che si può dirigere dove ci sono esplosioni, situazioni pericolose per la presenza dell’uomo, e può automaticamente misurare le polveri e in parte anche catturarle, per riportarle in laboratorio dove si possono poi effettuare misure più dettagliate».
PM10, PM2.5… i vostri strumenti fino a che “sottigliezza” riescono a spingersi?
«Integrando l’azione delle bilance con quella del sistema ottico, la particella più piccola che vediamo ha raggio di appena 0.2 micron».
Che aspetto hanno, e come funzionano, le vostre microbilance?
«Sono oggetti molto piccoli, di forma cilindrica. Piccoli cristalli di quarzo che, se alimentati, hanno una loro frequenza d’oscillazione. Quando si deposita della massa sulla superficie di questi cristalli, la frequenza d’oscillazione cambia in maniera proporzionale alla quantità di materiale che si è depositato su di essi».
Più materiale c’è, più le oscillazioni rallentano, dunque?
«In realtà usiamo due cristalli accoppiati, perché questi oggetti sono molto sensibili alle variazioni di temperatura. Per evitare questo problema, si accoppiano due oscillatori e si misura la differenza fra le frequenze d’oscillazione. Questa differenza cresce con l’aumentare della massa depositata sulla superficie della microbilancia».
Ci sono già soggetti privati interessati a sviluppare possibili applicazioni commerciali?
«C’è uno spin-off, partito proprio dall’INAF, l’azienda Novaetech, con ragazzi che hanno continuato il lavoro fatto sia su GIADA che su ExoMars. Hanno creato questa azienda di sviluppo tecnologico il cui prodotto di punta sono proprio le microbilance: sviluppano microbilance per diversi tipi d’applicazioni».
Costo?
«Dipende dalle caratteristiche richieste. Quelle che utilizziamo noi devono essere qualificate per volare nello spazio, quindi hanno bisogno di superare una serie di test che le rendono molto costose. Per applicazioni terrestri, i prezzi sono più contenuti».
Ma davvero basta un miliardesimo di grammo per spostare la lancetta, o è un numero che avete tirato fuori per fare colpo?
«No, no, è proprio vero. Possono pesare persino le percentuali di gas presenti nel vapor d’acqua, arrivando fino a poche parti per milione».
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