La caccia ai pianeti extrasolari si fa sempre più agguerrita. Condotta su due fronti, a Terra e nello spazio, la recente scoperta del satellite della NASA Kepler ha avuto grande eco. Ma sta anche evidenziando che è necessaria raffinare la “caccia” perché tale ricerca sappia darci quelle conoscenze che ci permetteranno di individuare i sistemi stellari che meglio si conformino al nostro modello di riferimento, il nostro Sistema Solare.
Anche con questo obiettivo è stato pensato PLATO, il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea che ha superato la prima fase di selezione nell’ambito della Cosmic Vision e attende, entro la fine di quest’anno, il definitivo giudizio. Ed è difficile pensare che l’Europa possa rinunciare ad un settore di ricerca che ha fatto grandissimi passi avanti negli ultimi anni. Non è solo una scelta finanziaria, tecnologica e scientifica ma anche strategica.
Di PLATO ne parliamo con Giusi Micela dell’INAF- Osservatorio Astronomico di Palermo, componente dello “Science Team” di PLATO e dell’Exoplanet Roadmap Advisory Team (EPR-AT), la commissione di esperti istituita nel 2008 dall’ESA con il compito di stabilire quali strategie adottare e quali vie seguire per raggiungere uno dei traguardi più ambiti dell’astrofisica moderna: distinguere e riconoscere pianeti extrasolari di tipo terrestre che possano ospitare forme di vita. E nel progetto PLATO la componente di partecipazione italiana è particolarmente importante: oltre all’INAF a cui si deve tra l’altro il disegno dei 34 telescopi a bordo del satellite, l’Università di Firenze e Padova e ovviamente l’Agenzia Spaziale Italiana che ha supportato il programma e la comunità scientifica italiana ad esserne protagonista.
Una caccia condotta da Terra con gli spettrometri come HARPS, installato presso l’osservatorio dell’ESO in Cile, che analizza le impercettibili variazioni di movimento che ha una stella causate dall’attrazione gravitazionale dei pianeti che le ruotano attorno. Oppure con Kepler, appunto, ma prima e ancora con il satellite del CNES – ESA CoRoT, che invece colgono le variazioni di luminosità delle stelle osservate quando davanti a queste transita un pianeta.
Che cosa caratterizza PLATO rispetto a Kepler?
L’elemento più importante è l’area di cielo che è osservata. Kepler osserva 100 gradi quadri della volta celeste, PLATO 2000 gradi quadri per ogni puntamento, e alla fine della missione coprirà quasi la metà del cielo. Un’area assai più vasta che non è importante solo per quantità, ma anche e soprattutto per la qualità. I satelliti come Kepler e come PLATO usano la tecnica del transito per individuare pianeti orbitanti attorno alla loro stella madre, ma le orbite che rendono abitabili i pianeti, come la Terra, attorno a stelle come il Sole durano circa un anno. Il pianeta passa dunque davanti alla sua stella solo una volta l’anno, ed è importante allora guardare per lungo tempo un’area di cielo così ampia, perché non solo si aumenta la possibilità di trovare esopianeti, ma anche di cercare con più accuratezza quelli più simili al nostro.
Non è però l’unico aspetto peculiare rispetto a Kepler…
Infatti, un altro aspetto importante è che si concentrerà sulle stelle più brillanti. È necessario che la ricerca e lo studio dei pianeti extrasolari sia condotta sinergicamente da terra e dallo spazio. Grazie agli spettrometri come HARPS siamo in grado di determinare la massa di questi pianeti e conoscendo la massa e la dimensione, derivata dalle misure spaziali, possiamo ricavare la densità e quindi determinare la struttura dei pianeti stessi. Ma se le stelle sono poco brillanti non è detto che da terra si riesca a misurarne la massa. Ma c’è un altro aspetto. La capacità di osservare un grande campione di stelle con caratteristiche simili al Sole, permetterà di capire quali siano le stelle papabili per avere un’altra Terra che le orbita intorno e in che condizioni si possano formare i sistemi planetari.
Non basta dunque la fascia di abitabilità?
No certo. Gliese 581d, il pianeta recentemente scoperto in fascia di abilità, orbita attorno ad una stella che non è come il nostro Sole, non è altrettanto calda e luminosa. Quello che ci permetterà di fare PLATO insieme agli strumenti a terra, e’ di svolgere una “catalogazione sistematica” delle stelle e dei pianeti del loro sistema fino alla fascia di abitabilità. Si potrà comprendere quali stelle possono avere determinati pianeti e scoprire ad esempio se la formazione del Sistema Solare sia così comune o meno. Nel senso che la combinazione Sole-Sistema Solare potrebbe essere molto più rara di quanto si pensi o che, al contrario, possa essere molto comune. In ogni caso qualunque risultato si otterrà sarà un grande passo avanti sapere che non basta cercare un esopianeta, ma un sistema che corrisponda a determinate caratteristiche, se veramente vogliamo trovare pianeti abitabili secondo il nostro concetto di abitabilità. Per poterli individuare è necessario studiare le stelle e i pianeti in relazione con loro.
E per far questo è strategico unire le forze, terrestri e spaziali. È un dato acquisito?
È un dato abbastanza acquisito. Bisogna considerare che ESA ed ESO, le due istituzioni europee che sono coinvolte in queste ricerche, hanno cominciato a parlarsi recentemente su queste tematiche, ma questa interazione sta già dando i suoi frutti. Ma questo è un settore nuovo, che sta dando risultati più sorprendenti di quanto forse ci si aspettasse in così poco tempo. E quando è così la comunità scientifica si unisce, non si divide. L’INAF, che in questo campo ha riconosciuto valore scientifico, è coinvolto da nord a sud, da Torino a Palermo e Catania, attraverso Padova e Firenze, ma anche Milano, Roma, Teramo, Napoli e La Palma. Questa è la comunità scientifica e come funziona in Italia, funziona nel mondo.
Ascolta Enrico Flamini dell’ASI su PLATO a Storie dall’Astromondo