La “capsula del tempo” è arrivata sulla Terra all’una e zero cinque dell’8 febbraio 1969. Quando in Messico, nello stato di Chihuahua, la luce d’un corpo proveniente dallo spazio squarciò il buio della notte: era il meteorite Allende, la più grande e la più studiata condrite carbonacea mai giunta sul nostro pianeta. Al suo interno, sono racchiusi alcuni fra gli oggetti più antichi del Sistema solare: i CAI (calcium-aluminium-rich inclusions), piccoli agglomerati ricchi di calcio e alluminio. Ora, analizzando uno di questi fossili spaziali, un grano della grandezza d’un chicco di mais, un team di scienziati del Lawrence Livermore National Laboratory – in collaborazione con il Johnson Space Center della NASA e le università di Berkeley e Chicago – è riuscito a ricostruirne il tragitto, percorso 4,57 miliardi di anni fa, attraverso il disco protoplanetario dal quale ha avuto origine il Sistema solare.
Il risultato, pubblicato oggi su Science, testimonia un’odissea interminabile, un viaggio dal centro alla periferia della struttura discoidale di gas e polveri e ritorno. Per ricostruirlo in tutte le sue tappe, Justin Simon e colleghi si sono avvalsi di un nuovo spettrometro di massa di ioni secondari, chiamato NanoSIMS (secondary ion mass spectrometer), in grado di campionare la distribuzione degli isotopi dell’ossigeno con una risoluzione di circa 2 micron. Nel disco protoplanetario, questa distribuzione non era uniforme: vicino al cuore l’ossigeno-16 era presente in quantità, mentre era assai più scarso nelle regioni periferiche. Dunque, misurando le abbondanze relative degli isotopi d’ossigeno-16 (16O) e ossigeno-17 (17O) nelle varie porzioni di un CAI, si può risalire a quali zone esso ha attraversato e quando.
Quello che gli scienziati hanno trovato è che la concentrazione di ossigeno-16 diminuisce mano a mano che dal centro del nucleo del CAI ci si sposta verso l’esterno: segno che l’agglomerato ha iniziato a formarsi nelle zone centrali del sistema solare, più ricche di ossigeno-16, per poi vagabondare verso la periferia. Questa, però, è solo metà della storia. Perché il NanoSIMS ha anche mostrato, agli occhi sorpresi dei ricercatori, che nel primo strato minerale all’esterno del nucleo l’ossigeno-16 torna ad aumentare: come se il CAI analizzato, una volta raggiunti i confini del disco protoplanetario, avesse invertito il cammino, facendo di nuovo rotta verso casa.
Un viaggio di estremo interesse per gli astronomi, soprattutto perché questi agglomerati sono antichissimi: risalgono a 10-15 milioni di anni prima che iniziassero a prendere forma i moderni corpi del Sistema solare, come i pianeti. Di conseguenza, ha affermato Simon, «gli studi sulla dinamica della formazione dei pianeti in un disco protoplanetario dovranno d’ora in poi fare i conti con questo meteorite».
Per saperne di più:
L’articolo Oxygen Isotope Variations at the Margin of a CAI Records Circulation Within the Solar Nebula (Science, 4 marzo 2011) di Justin Simon, Ian Hutcheon et al.