Nel cuore di Roma sorge la Biblioteca Apostolica Vaticana, tempio della cultura e del sapere occidentale. Qui è custodita una delle raccolte più preziose del mondo: 80 mila manoscritti, tra cui i codici paleocristiani, un milione e seicentomila libri antichi e moderni, 100 mila documenti d’archivio, stampe e incisioni, migliaia di opere d’arte e fotografie. Un patrimonio di valore inestimabile che rischia di scomparire. Il tempo non perdona. L’usura lentamente cancella l’inchiostro, degrada la carta, corrode i supporti. Per salvaguardare il passato e tramandarlo alle prossime generazioni , l’unica salvezza si chiama digitale. Per questo, la Biblioteca Vaticana ha avviato un grandioso progetto di scannerizzazione e archiviazione digitale delle sue opere antiche.
Già, ma come assicurarsi che i file siano leggibili anche in futuro? In un mondo in cui la tecnologia avanza velocemente, altrettanto rapidamente diventa obsoleta, formati di memorizzazione e supporti invecchiano diventando illeggibili nel giro di pochi anni (basti pensare ai floppy disk o alle videcassette VHS). La soluzione? Una tecnologia “scesa dalle stelle”. Un formato universale, che non cambierà nel tempo, sarà leggibile anche tra 100 anni, non sarà soggetto a vincoli economici e commerciali, e permette una risoluzione praticamente senza limiti: fino a 50 milioni di pixel (ma teoricamente anche 10 volte tanto). Si chiama FITS, è stato sviluppato alla fine degli anni Settanta in ambito radioastronomico (qui l’annuncio ufficiale) e da allora viene utilizzato e aggiornato dagli astronomi di tutto il mondo per gestire l’enorme mole di dati spaziali e satellitari.
È in formato FITS che la Biblioteca Vaticana salverà una copia di se stessa. Milioni e milioni di pagine virtuali che daranno al mondo scientifico e accademico possibilità di studio finora mai esplorate. Mentre i volumi originali saranno al riparo in un bunker di cemento armato, interrato, senza finestre né aperture, a prova di bomba atomica, in condizioni di temperatura e umidità controllate. Solo pochissimi vi avranno accesso per evitare di danneggiare le pagine depositarie di tanto sapere. Ma che al tempo stesso tutti potranno consultare a piacimento grazie alla copia digitale. A presentare l’opzione FITS alla Biblioteca Vaticana è stato l’INAF, che sta seguendo in ogni fase del progetto di archiviazione digitale. Ne parliamo con Giuseppe Di Persio, informatico dell’INAF-IASF di Roma.
Come si sono incontrati questi due mondi?
Il formato FITS non è molto conosciuto al di fuori dell’ambito astronomico, anche se recentemente sta trovando applicazioni in ambito medico, ad esempio per immagini TAC in 3D. È nato negli anni Sesasnta per poter salvare in maniera omogenea i dati provenienti da satelliti e telescopi e permette di memorizzare informazioni che saranno sempre leggibili. Siamo venuti a conoscenza delle esigenze della Biblioteca Vaticana, che era alla ricerca di un formato gratuito in grado di garantire che le immagini scansionate fossero leggibili anche fra 100 anni. Non solo, alcuni libri, antichi anche migliaia di anni possono essere scansionati una volta sola, con l’esigenza di trarre il maggior numero di dati. Abbiamo quindi presentato FITS, abbiamo fornito la consulenza tecnica, oltre che strumenti e programmi per leggere i dati, visualizzarli ed elaborarli.
Qual è stata l’impressione della Biblioteca Vaticana?
All’inizio c’è stato bisogno di convincerli. Erano scettici perché pensavano che un formato astronomico andasse bene solo per le stelle e i pianeti. Ma presto hanno capito che era esattamente quello che faceva al caso loro.
Quali sono le caratteristiche di FITS che li hanno conquistati?
Con FITS è possibile memorizzare immagini assolutamente fedeli all’originale, senza perdita di colore, per esempio, elemento molto importante per gli studiosi. Si ha la certezza di avere una copia identica e ad altissima risoluzione. Attualmente alla Biblioteca Vaticano utilizzano scanner da 50 milioni di pixel, ma di fatto non esiste un limite alla risoluzione delle immagini memorizzabili con FITS. Non solo: è un formato gratuito e centinaia di astronomi in tutto il mondo contribuiscono ad aggiornare il formato, sempre nel rispetto della compatibilità.
A che punto è il progetto di digitalizzazione?
Siamo in fase avanzata di test: si stanno scansionando un centinaio di libri antichi e si sta costruendo tutta l’impalcatura software e hardware necessaria a trattare l’enorme quantità di dati che sarà prodotta a regime. Solo i dati grezzi, non elaborati, ammontano a circa 50 petabyte(ogni petabyte equivale a mille terabyte, cioè un milione di gibabyte). A regime saranno scansionati 80 mila manoscritti e libri antichi. I dati saranno immagazzinati in tre diversi data-center, per sicurezza.
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