Vettel o Alonso? Quando è il millisecondo a decidere se la pole position spetta alla Red Bull o alla Rossa, la risposta potrebbe arrivare dalla radioastronomia. Intendiamoci: non stiamo parlando di installare parabole da decine di metri in ogni circuito di gara. Ma è proprio dallo studio dei dispositivi per la chiusura dell’anello di controllo del sistema di ottica attiva di cui è dotato SRT, il Sardinia Radio Telescope, che è uscito un prototipo di lap trigger capace di far gola alle case automobilistiche.
Sviluppato dai ricercatori dell’INAF-Osservatorio astronomico di Cagliari, in collaborazione con un’azienda del gruppo Magneti Marelli che si occupa di sistemi di telemetria in ambito automotive, il lap trigger ottico arriva a misurare i tempi di percorrenza nei circuiti di gara con una precisione inferiore al millisecondo. Come ci riesce? Attualmente, nelle competizioni sportive, viene utilizzato un lap trigger funzionante nella banda delle microonde. Il lap trigger degli astronomi sardi, invece, basandosi su un laser a banda ottica, ha un “traguardo” di larghezza intrinseca minore, dovuta a sua volta a un minore angolo di diffrazione. Da qui il netto miglioramento nella misurazione dei tempi.
La configurazione dell’impianto è abbastanza semplice. A bordo pista c’è il sistema di trasmissione, costituito da un gruppo di scansione e da un obiettivo afocale anamorfico progettato per proiettare un fascio laser strutturato, in grado di mantenere costante la densità di energia su distanze fino a 100 metri. Il ricevitore, invece, è montato direttamente sull’automobile, e registra l’impulso quando la vettura, durante la corsa, interseca il fascio laser.
Ma come si è passati dalla radioastronomia alla Formula 1? Lo chiediamo a Tonino Pisanu, il tecnologo dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari che, insieme ai colleghi, ha seguito lo sviluppo del prototipo del lap trigger.
Tutto parte dalla progettazione ottica e dall’utilizzo di sistemi di metrologia per SRT. Stiamo studiando sistemi di misura per tenere sotto controllo le deformazioni gravitazionali e termiche del paraboloide. Abbiamo sperimentato diversi tipi di sistemi laser – a tempo di volo, interferometrici, range finder — per l’allineamento e la misura della posizione del paraboloide nello spazio. Questo perché la parabola avrà una superficie attiva: tutti i pannelli saranno movimentati da attuatori elettromeccanici. Dunque è possibile correggere la forma della superficie in modo da avere sempre la massima efficienza della parabola.
Ora, i sistemi di sensori basati sull’utilizzo di un segnale laser sono molto versatili. Combinandone le caratteristiche in modo opportuno, ci siamo resi conto che è possibile applicarli in un’infinità di ambiti, completamente avulsi dal mondo della radioastronomia.
Gare automobilistiche comprese, dunque. E come funziona, una volta messo in pista?
Il segnale laser viene inviato su uno specchietto rotante, che ruota a velocità molto elevate, 20mila giri al minuto. In questo modo, il laser fa la scansione lungo la pista, dove passano le auto da corsa, e crea una sorta di barriera ottica. Ogni qual volta l’auto per la quale vogliamo determinare i tempi di percorrenza attraversa la barriera ottica, sull’auto stessa è posizionato un fotodiodo che intercetta il segnale laser. Questo attiva, o blocca, un contatore, dandoci così il tempo di partenza e di arrivo dell’auto.
Quando potremo vederlo in azione?
Il prototipo è pronto. Lo abbiamo sviluppato alcuni anni fa con il Servizio per l’Innovazione Tecnologica dell’INAF, ed è stato riconosciuto che ha una precisione intrinseca maggiore rispetto ai sistemi a microonde. Per metterlo in pista, però, bisogna ancora risolvere alcuni problemi di affidabilità, in particolare per gestire le situazioni in cui il fascio laser viene interrotto da altre vetture. Insomma, prima di utilizzarlo regolarmente nell’ambito delle gare di F1, servono altre prove e altri test.
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