Sono millenni che uomini e donne la vedono passare (le prime testimonianze storiche risalgono in Cina al 240 a.C.). Lei appare nel cielo ogni 76 anni, avvolta nel suo pallido bagliore. Si fa ammirare da lontano per qualche giorno e poi, da vera diva, se ne va. Dall’ultima volta, sono passati esattamente 25 anni. Era la notte tra il 13 e il 14 aprile del 1986, ma quella visita fuggitiva non fu come tutte le altre. Una piccola sonda dell’ESA, chiamata Giotto, era là, ad aspettarla al varco. E quando la famosa cometa Halley arrivò, Giotto potè ammirarla da vicinissimo, a meno di 600 chilometri di distanza. Un incontro “intimo” dal quale la sonda uscì pressoché distrutta. Ma che cambiò per sempre la nostra visione delle comete.
Giotto (così chiamata in onore del pittore fiorentino che s’ispirò alla cometa di Halley per la stella di Betlemme nel celebre affresco “L’adorazione dei Re Magi”, nella cappella degli Scrovegni di Padova), riuscì a studiare la cometa come nessuno mai era riuscito a fare. Soprattutto, le diede per la prima volta un volto. Pur sommersa dalle polveri, la sonda riuscì a scattare una foto del nucleo (qui accanto). Era, ed è, un’immagine storica. Nessuno prima di allora era andato dritto al cuore di una cometa.
Halley ha un diametro di pochi chilometri ed è composta da roccia, composti carboniosi e ghiaccio. Misurandone la composizione, si ebbe la la conferma che le comete sono resti primitivi del Sistema Solare, che vagano nello spazio ormai da miliardi di anni. Nei ghiacci di Halley vennero anche rilevati composti chimici che avrebbero potuto costituire i mattoni della vita sulla Terra, una teoria che da allora ha fatto parecchia strada. Sorprendentemente, vista da vicino la cometa non era così “pallida” come sembrava dalla Terra. Anzi: si rivelò molto scura, con appena il 4 per cento della luce incidente che viene riflessa.
Giotto sopravvisse a stento. A causa della fortissima erosione provocata dal vento di polveri, venne distrutto lo schermo protettivo, i sensori e la camera (la foto fatidica era stata scattata!). Si calcola che durante l’ultimo passaggio vicino al Sole Halley essa abbia perso ben 20 tonnellate di materiale al secondo (attualmente la sua massa è di circa 200 miliardi di tonnellate, il che significa che tra 170mila anni di lei non ne resterà nemmeno un grammo). Tuttavia, un po’ acciaccata, la sonda proseguì il suo viaggio verso un’altra cometa, la Grigg–Skjellerup, visitata nel 1992.
Halley non tornerà fino al 2061, ma da quel 14 aprile 1986 la strada (spaziale) allo studio delle comete era aperta. Il prossimo appuntamento tocca a Rosetta, un’altra navicella spaziale dell’ESA. Rosetta è in marcia verso la cometa Churyumov–Gerasimenko, dove arriverà nel 2014. Una volta che l’avrà raggiunta, studierà la cometa per mesi e rilascerà un lander per analizzare campioni di materiale in superficie, grazie a sofisticate strumentazioni come GIADA, microbilance con una sensibilità del miliardesimo di grammo. Il viaggio per Rosetta è ancora molto lungo, anche se spezzato da qualche incontro fugace. Come il recente tete-à-tete con l’asteroide Lutetia.
Nel frattempo, da Halley in poi, di comete ne sono state avvicinate diverse. Di una in particolare, Wild-2, agganciata dalla sonda Stardust (NASA) nel 2005, sono stati anche riportati a Terra preziosissimi grani, analizzati nei migliori laboratori del mondo, tra cui l’INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte. Recentemente, è stata la volta di Temple-1, raggiunta da Stardust-NEXT, e prima ancora di Hartley 2, incrociata da Deep Impact. Un inseguimento nello spazio, che prosegue anche con i telescopi a Terra . Per scoprire i segreti dei più antichi testimoni della nascita del nostro Sistema Solare.