IL 25 MARZO A PADOVA, IL 31 A MILANO

Planck in tournée, due le date primaverili

È tempo di conferenze, per la sonda cosmologica ESA. A Padova e Milano, due incontri per condividere con il pubblico l’abbondante raccolto scientifico dei primi 500 giorni di missione. Nel frattempo, in L2, l’avventura del satellite va avanti. Michele Maris: «Come un esploratore dell’800, con i suoi resoconti allarga il nostro orizzonte».

     22/03/2011

È primavera, anche per Planck. Che con le prime giornate di sole può finalmente far capolino, uscire dal gelo cosmico dell’orbita lagrangiana, e incontrare i suoi numerosi fan. Non di persona, certo, visto che lassù in L2, a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, il lavoro di raccolta dati continua senza sosta, e andrà avanti ancora per un bel pezzo, almeno fino a inizio 2012. Saranno gli scienziati che ogni giorno se ne prendono amorevolmente cura a portarlo in tournée.

Un satellite votato alla condivisione, la sonda dell’ESA Planck. Due mesi fa, a gennaio, è stato il turno degli addetti ai lavori, che hanno potuto mettere le mani sull’attesissimo Early Release Compact Source Catalogue: un catalogo preliminare di sorgenti compatte, galattiche ed extragalattiche, osservate da Planck fra il 13 agosto 2009 e il 6 giugno 2010. Ora tocca ai tantissimi appassionati italiani (solo su Facebook, sono già oltre 1300), giustamente curiosi di sapere come sta procedendo la missione e cosa si è già riusciti a scoprire grazie ai suoi sensibilissimi sensori a microonde.

Il primo appuntamento è in calendario per venerdì prossimo, 25 marzo, presso il Planetario di Padova. Dove, a partire dalle 21, Michele Maris, dell’INAF-Osservatorio astronomico di Trieste, illustrerà i risultati pubblicati di recente dalla collaborazione Planck: risultati che ancora non riguardano l’origine dell’Universo, ma oggetti un poco più vicini a noi, come la Via Lattea e la formazione delle stelle. La conferenza è aperta al pubblico, ma è necessario prenotarsi.

La settimana successiva, giovedì 31, alle ore 15, teatro dell’incontro con il pubblico sarà invece il Dipartimento di Fisica dell’Università di Milano. La conferenza (alla quale si potrà assistere anche in streaming), dal titolo “In viaggio con Planck. Prima tappa verso l’origine dell’Universo”, prevede interventi di Aniello Mennella (UniMI), Davide Maino (UniMI), Rod Davies (Jodrell Bank Observatory) e Pasquale Mazzotta (Roma “Tor Vergata”). E anche in questo caso, si farà il punto sulla missione. «La notizia più importante è che gli strumenti stanno funzionando alla grande», dice il moderatore dell’incontro Marco Bersanelli, instrument scientist di Planck-LFI e professore di astrofisica all’Università di Milano, «il che ci fa ben sperare in vista dell’obiettivo centrale di Planck: i risultati sul fondo cosmico di microonde, previsti per il 2013. Ma tra i risultati attuali il più ricco è sicuramente il catalogo di oltre 15000 sorgenti che sono state rilasciate alla comunità scientifica, mai osservate prima in questo range di lunghezze d’onda. Sono come pietre preziose grezze, ancora miste a fango e detriti, che nascondono molti segreti ancora tutti da scoprire».

Una ricerca nella quale l’Italia ha un ruolo decisivo. Principal investigator dello strumento LFI, finanziato dall’ASI, è Reno Mandolesi, associato INAF. E dei due strumenti a bordo del satellite, sarà proprio LFI l’ultimo ad andare in pensione, spiega Bersanelli: «Contiamo di completare le osservazioni nominali all’inizio del 2012, quando il cielo intero sarà stato perlustrato per quattro volte da tutti i sensori di Planck. A quel punto il refrigeratore a 0.1K avrà esaurito il suo potenziale, e procederemo con il solo strumento a bassa frequenza, LFI, fino a quando la criogenia ce lo consentirà. Allora avremo una visione completamente nuova dell’universo primordiale, la cui mappa di polarizzazione potrebbe rivelare tracce di eventi mai osservati prima, avvenuti una piccolissima frazione di secondo dopo il big bang».

Ma allora perché, abbiamo chiesto a Michele Maris, se l’obiettivo centrale di Planck è l’universo primordiale nella sua globalità, tutto questo interesse per la Via Lattea e l’universo locale?

«È come voler fare la fotografia d’un monumento in una piazza gremita di gente. Quello che avremo in primo piano, nell’inquadratura, sono le teste dei turisti. Così, per ottenere una bella foto di piazza San Marco, dovremo cercare di rimuovere tutte quelle teste in primo piano. Allo stesso modo, nel cercare d’inquadrare l’universo lontano, inevitabilmente ci si para davanti l’universo vicino. Però, quello che per i cosmologi è un rumore di fondo fastidioso, per altri scienziati più interessati agli oggetti vicini, come la nostra galassia, questo rumore diventa l’obiettivo scientifico».

E fra questi “turisti” in primo piano, quali sono i più interessanti inquadrati fino a oggi da Planck?

«Anzitutto, i cold cores, cioè gli oggetti dove si stanno pian piano formando nuove stelle. Poi, il cosiddetto “gas oscuro”, che sarebbe più opportuno chiamare “gas freddo”: cioè un gas, presente nella Via Lattea, che non emette radiazione. Ma c’è anche l’emissione anomala: una polvere che sta emettendo radiazione in maniera inattesa, producendo una distribuzione diversa da quello che ci aspettavamo».

Ora che Planck è in piena attività, lassù in L2, fa tutto da solo o voi scienziati del team dovete continuare a prendervene cura?

«Per noi, è un lavoro quotidiano. Occorre continuamente accudire il satellite. Ogni giorno arrivano dati, e la prima cosa che va fatta è controllare che non rivelino anomalie. E se salta fuori qualche anomalia, dobbiamo subito preparare le operazioni necessarie per correggerle. Stiamo parlando di effetti minimi, dovuti per esempio al fatto che Planck, avvicinandosi e allontanandosi dal Sole, si scalda o si raffredda, cambiando leggermente la taratura. Variazioni molto contenute, ma se uno vuole ottenere la mappa più pulita possibile del cielo, deve chiaramente tenerne conto. Inoltre, via via che il tempo passa, impariamo sempre più cose non solo sul cielo a microonde, ma anche sul nostro strumento. Quindi dobbiamo continuamente rianalizzare i dati raccolti tenendo conto di questa migliorata conoscenza».

Un lavoraccio… ne vale la pena? A conti fatti, Planck a che serve?

«Be’, dal punto di vista conoscitivo, l’impresa di Planck si potrebbe paragonare a quelle dei grandi esploratori dell’Ottocento. Navigavano per anni, inviando i loro resoconti. E la gente che stava a casa, leggendoli, cominciava a conoscere qualcosa di più del mondo in cui viveva, allargando i propri orizzonti intellettuali. Questo Planck lo farà per un vastissimo insieme di sottodiscipline dell’astrofisica. Ma non dobbiamo dimenticare l’aspetto tecnologico. Per costruire Planck, abbiamo sviluppato un grande quantitativo di nuove tecnologie, dai sistemi di raffreddamento a quelli di compressione e analisi dei dati. Nuove tecnologie destinate a penetrare, via via, nel mondo dell’industria. Prima per le applicazioni più sofisticate, poi probabilmente in quelle più terra terra. Per esempio, poter eseguire analisi d’emissioni termiche, e mapparle ad alta precisione, è una capacità molto richiesta in medicina, nelle termografie usate correntemente negli ospedali per diagnosticare i tumori».

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