Che si tratti di studiare esotiche particelle elementari sotto terra, oppure di captare i raggi X nello spazio, a bordo dei satelliti che studiano i fenomeni più violenti che avvengono nell’Universo, il risultato è sempre quello: raccolgono dati con una precisione e una sensibilità senza pari. Sono i Silicon Drift Detectors (SDD), rivelatori di radiazione X di nuova generazione. Nati nei laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) per studiare le proprietà dei “mattoni” che costituiscono gli atomi – equipaggiano infatti l’esperimento ALICE presso il Large Hadron Collider, il più grande acceleratore al mondo – sono stati poi adattati per l’utilizzo in ambito astrofisico presso i laboratori dell’INAF-IASF di Roma.
Il loro punto di forza sta nel fatto che la tecnologia utilizzata per l’identificazione dei fotoni X permette di costruire superfici di rivelazione molto ampie, e quindi raccogliere una quantità maggiore di segnale, senza perdere informazioni sul valore di energia trasportata dai fotoni stessi. Una qualità che non possiedono dispositivi analoghi basati su altri metodi di rivelazione.
I Silicon Drift Detectors (SDD) potrebbero equipaggiare – qualora venisse dato il via libera alla missione dall’Agenzia Spaziale Europea – il satellite per l’astrofisica delle alte energie LOFT, frutto di una collaborazione tra ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e di diverse università e politecnici italiani con il supporto della Thales Alenia Space di Torino e della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Ma le applicazioni di questi dispositivi potrebbero andare ben oltre quei settori per i quali sono stati pensati e realizzati. Seppure oggi è solo un’ipotesi, in futuro gli SDD potrebbero essere impiegati nella diagnostica medica per immagini o nel campo della prevenzione dei danni ambientali, per segnalare la presenza di scorie radioattive, localizzandole rapidamente anche se nascoste fra altri tipi di rifiuti.
Per conoscere meglio i dispositivi SDD abbiamo rivolto alcune domande a Ettore Del Monte, dell’INAF-IASF di Roma.
Del Monte, può farci un “identikit” di questi dispositivi?
I Silicon Drift Detectors sono dei dispositivi che non solo sono in grado di registrare il passaggio di raggi X ma anche di determinare con buona precisione il valore della loro energia. Sono fatti di silicio, un po’ come i sensori che equipaggiano le comuni macchine fotografiche digitali ma molto, molto più sensibili e destinati a funzionare con radiazione molto più energetica di quella della luce visibile.
Questi dispositivi sono nati per applicazioni del tutto diverse dalla ricerca astrofisica, vero?
Sì. L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare li ha progettati per studiare il comportamento delle particelle elementari nell’esperimento ALICE del Large Hadron Collider, il più grande acceleratore oggi attivo. Le loro qualità ci sono sembrate davvero ottime anche per indagare i fenomeni di alta energia che avvengono nell’Universo e così abbiamo avviato una collaborazione che ha portato ad un adattamento degli SDD per l’astrofisica dallo spazio.
Dove potrebbero essere utilizzati la prima volta i rivelatori SDD?
L’ESA, nell’ambito del bando Cosmic Vision ha recentemente dato il via libera ad una fase di studio di fattibilità, che durerà due anni per quattro missioni di classe media, una delle quali è LOFT. Questo è un satellite per l’astrofisica delle alte energie in cui sono coinvolti ricercatori dell’INAF, dell’INFN e di numerosi atenei italiani. Il cuore di LOFT sarà proprio una batteria di questi rivelatori d’avanguardia, che avranno una superficie complessiva di ben 20 metri quadrati. Con questa tecnologia e questa superficie di raccolta della radiazione potremo avere a disposizione il più potente strumento mai realizzato per studiare le proprietà dei buchi neri, delle supernovae o dei nuclei delle galassie, solo per fare alcuni esempi.
Lei pensa che le proprietà uniche di questa nuova generazione di strumenti possano essere applicate anche in altri ambiti?
Oggi è ancora prematuro dirlo, ma potenzialmente le qualità degli SDD potrebbero essere sfruttate per migliorare la qualità delle immagini radiografiche o nel monitoraggio di radiazioni nocive prodotte ad esempio da scorie radioattive non adeguatamente schermate.
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