Li abbiamo immaginati verdi con le antenne, nei film di fantascienza. Ma si sa che a volte la realtà supera la fantasia. Presto potremo scoprire che in verità i marziani siamo noi. Da quando Darwin, più di 150 anni or sono, formulò la teoria dell’evoluzione delle specie, tutti sanno sin dalla scuola elementare che tutte le forme di vita sulla Terra discendono da un comune progenitore, comparso più o meno 3,5 miliardi di anni fa in circostante ancora da chiarire. Quello che oggi un numero crescente di scienziati sospetta è che questa sia solo la seconda parte della storia. Una storia iniziata molto prima e molto più lontano. Il microrganismo “numero zero” poteva non essere autoctono, bensì immigrato. Nato su un altro pianeta, Marte, e trasportato quaggiù a bordo di un meteorite. Se le cose stanno davvero così, ce lo dirà uno strumento sviluppato da ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e Università di Harvard.
E come dimostrare il legame di parentala, se non attraverso il fatidico test del DNA? Anche sul Pianeta Rosso, frammenti di materiale genetico (DNA o RNA) potrebbero essere cruciali per risalire alla verità, come nelle migliori indagini poliziesche. È quello che intendono cercare Christopher Carr e Clarissa Lui del Dipartimento di Scienze della Terra, Atmosferiche e Planetarie del MIT, insieme al biologo molecolare Gary Ruvkun, del Massachusetts General Hospital e Harvard University, attraverso il Search for Extra-Terrestrial Genomes (SETG). Lo strumento è stato presentato nel corso della IEEE Aerospace Conference in Montana.
L’idea che i marziani siamo noi può sembrare balzana, ma gli indizi a sostegno non mancano. Primo, nelle prime fasi del Sistema Solare, il clima sui due pianeti rocciosi attigui, Marte e Terra, erano molto più simili di quanto non siano adesso, quindi la vita che si è sviluppata sull’uno potrebbe aver avuto chance anche sull’altro. Secondo, è un fatto che circa un miliardo di tonnellate di rocce abbiano viaggiato da Marte verso la Terra, raschiate via dall’impatto di asteroidi. E per questioni di dinamiche orbitali, è 100 volte più semplice per le rocce viaggiare da Marte a Terra che viceversa. Terzo, i microrganismi riescono a sopravvivere nello spazio interplanetario e resistere allo shock di violenti impatti. Pertanto, se la vita si fosse sviluppata là, i microrganismi marziani potrebbero aver contaminato la Terra e tutte le specie potrebbero essere discendenti di un extraterrestre.
I ricercatori del MIT si sono messi in testa di scoprirlo. Intendono raccogliere campioni di suolo marziano, isolare qualsiasi traccia microrganismi o resti fossili vi sia, separare il materiale genetico e analizzarlo con le stesse tecniche che si usano nelle indagini forensi sulla Terra. Obiettivo: cercare similitudini con le sequenze del DNA terrestre (il DNA può preservarsi fino a un milione di anni e, sebbene ogni specie abbia il suo specifico codice, alcune porzioni sono praticamente universali). L’impresa è ardua, senza dubbio. Poggia, però, su basi solide. Sonde e rover spediti su Marte hanno mostrato che, un tempo, c’era acqua allo stato liquido, e forse ce n’è ancora nel sottosuolo, condizione imprescindibile per la vita.
Ci vorranno altri due anni per completare il prototipo del dispositivo SETG. Per il momento, non è ancora stato “prenotato” da una delle prossime missioni in partenza per Marte. Se in futuro spiccherà il volo a bordo di una sonda, abbinato a un rover scavatore, sarà il primo caso di CSI nello spazio.