Non sarà certo ai livelli della “Toccata e Fuga” di Bach o delle “Quattro Stagioni” di Vivaldi, ma ciò che la sonda spaziale Kepler della NASA è riuscita a registrare è proprio quello che si suol dire “musica” per gli astronomi: le flebili e rapide variazioni della luce emessa da alcune centinaia di stelle simili al nostro Sole. Grazie a questi dati è stato così possibile avere una visione d’insieme delle loro proprietà, riuscendo addirittura ad indagare cosa succede al loro interno.
L’infaticabile Kepler sta ormai da mesi monitorando i cambiamenti di luminosità di più di 150.000 stelle nella nostra galassia. Questi dati vengono utilizzati sia per la ricerca di pianeti al di fuori del Sistema solare, sia per la misurazione delle oscillazioni naturali delle stelle, che si espandono e si contraggono ritmicamente. Lo studio di quest’ultimo tipo di fenomeni prende il nome di asterosismologia. Un po’ come accade per gli strumenti musicali, le frequenze di queste oscillazioni permettono di dedurre quanto grande sia la “cassa di risonanza” nella quale sono confinate e permettono quindi di risalire con grande accuratezza alle proprietà interne delle stelle.
L’osservazione simultanea delle oscillazioni di ben 500 stelle, proprio come un’”orchestra”, ha permesso non solo di avere una visione d’insieme di questi moti prodotti da astri simili al nostro Sole, ma consente ora di confrontare misure reali con i modelli teorici che descrivono questi fenomeni finora solo simulati al calcolatore dagli astronomi.
E proprio dai risultati di questo confronto, pubblicati nell’ultimo numero della rivista Science, è stata ottenuta la conferma di molte delle predizioni teoriche, come ad esempio il fatto che la frequenza propria di oscillazione di una stella diminuisca all’aumentare della sua luminosità. Ma c’è anche un enigmatico disaccordo: sembra che “l’orchestra stellare” produca globalmente pulsazioni a frequenze più basse di quanto atteso. Secondo gli astronomi questo fenomeno potrebbe essere dovuto, nel gruppo preso in esame, a una scarsa presenza di stelle di piccola massa – comparabile a quella del nostro Sole – che oscillano mediamente a frequenze più alte: è come se mancassero i violini e le viole in un concerto di Brahms!
“Questa osservazione potrebbe significare che la nostra comprensione di meccanismi fisici fondamentali che avvengono nell’interno delle stelle è ancora molto approssimativa, o che le attuali teorie che descrivono la formazione stellare devono essere profondamente riviste” dice Alfio Bonanno, dell’Osservatorio Astrofisico di Catania dell’INAF che, insieme a Enrico Corsaro, sempre della struttura di ricerca siciliana e a Leo Girardi, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, è coautore dell’articolo pubblicato su Science. Nel gruppo di ricerca che ha realizzato lo studio partecipa anche l’italiano Andrea Miglio, dell’Università di Birmingham.