Volete provare l’ebbrezza di sporgere la testa da un finestrino della Stazione Spaziale? Se vi accontentate di poco, la prossima volta che uscite dalla doccia asciugatevi i capelli con un phon a ioni, quelli che promettono chiome morbide e luminose. Già, perché anche lassù, a 400 chilometri d’altezza, ciò che spesso ci figuriamo come spazio vuoto in realtà è un ambiente piuttosto movimentato. A renderlo turbolento, un vento di ioni ed elettroni in balia dei campi magnetici. È il plasma extraterrestre, e se non tenuto in considerazione può causare danni seri ai dispositivi a bordo dei satelliti. E poiché mandare strumenti in orbita costa caro, è cruciale poter simulare, prima del lancio, come il payload – così si chiama il prezioso carico d’un satellite – si comporterà una volta lassù. Per farlo, un asciugacapelli a ioni decisamente non basta. Occorre ricreare qui sulla Terra l’ambiente spaziale delle orbite basse.
È quello che permette di fare SIM.PL.EX. Non lasciatevi ingannare dal nome: l’acronimo sta proprio per simulatore di plasma extraterrestre, ed è tutto fuorché semplice. Finanziata da ASI, CNR e INAF, realizzata da un team di ricercatori e tecnici dell’INAF-IFSI di Roma sotto la guida di Roberto Bruno e Giuliano Vannaroni, la camera a plasma SIM.PL.EX. è un grande cilindro (1.7 metri di diametro per 4.5 di lunghezza) all’interno del quale è possibile verificare il funzionamento, la conformità alle specifiche di progetto e la compatibilità con il plasma ionosferico dei payload progettati per operare a bordo di satelliti ed esposti all’ambiente esterno. Dispositivi, dunque, come i sensori di particelle, i propulsori ionici, e più in generale i materiali e i componenti per uso aerospaziale.
All’interno della camera, la velocità d’insieme del fascio ionico (fino a 8 km/sec) simula il moto relativo tra satellite e ionosfera. Contemporaneamente, un complesso sistema di bobine genera un campo magnetico controllato vettorialmente (fino a 100 microtesla, dunque circa il doppio di quello terrestre), permettendo così di simulare l’assetto del satellite, sia per orbite polari che equatoriali. Nel frattempo, una serie di sonde di diagnostica misura i parametri del plasma nell’intorno del dispositivo sotto test. Parametri che è possibile tenere sotto controllo in tempo reale, permettendo così una valutazione immediata delle interazioni tra il payload e l’ambiente spaziale circostante.
In funzione dal 1989, sul circuito di prova ionico di SIM.PL.EX. sono sfrecciati negli anni moltissimi materiali destinati allo spazio e interi esperimenti, fra i quali gli specchi X di Beppo-SAX, il telescopio italo-olandese che nella seconda metà degli anni Novanta ha rivoluzionato le nostre conoscenze sui lampi di raggi gamma. Come ci racconta Giuliano Vannaroni, associato INAF, descrivendoci le caratteristiche di SIM.PL.EX.
«Galleria del vento non è un termine così inappropriato. Anche nello spazio, e soprattutto nello spazio vicino alla Terra – quello appunto ionosferico e magnetosferico, quello al quale abbiamo pensato quando si è realizzata questa camera – non abbiamo un vero e proprio vuoto: ci sono delle particelle. Considerando che il satellite, in orbita, ha una sua velocità, attorno agli otto chilometri al secondo, attraversando queste particelle viene a creare un effetto di compressione. E anche delle scie, come quelle che un’imbarcazione lascerebbe in un lago».
Ed è questo che avviene nella vostra camera?
«Sì, tendiamo a riprodurre quelle condizioni. Introduciamo un gas ionizzato, ioni ed elettroni, con densità tali da riprodurre lo spazio alle diverse altezze che si vogliono simulare. Lo strumento viene così esposto a questo fascio, e noi possiamo misurare le interazioni che nascono fra il payload e lo spazio circostante».
Quale range d’altezza, e dunque di orbita, riesce a simulare?
«È stata progettata pensando agli esperimenti a bordo dello shuttle, e successivamente a bordo della Stazione spaziale. Quindi le altezze che riesce a ricreare sono quelle che si spingono fino a 500-600 chilometri. Ma in passato abbiamo usato la camera anche per test sugli specchi del satellite SAX. Gli specchi che usava per focalizzare le radiazioni potevano interagire con il plasma ionosferico, dunque si temeva che i residui di questi ioni potessero penetrare all’interno degli specchi e andare a colpire i rivelatori. Furono fatti dei test per verificare il fenomeno, e furono poste delle griglie di soppressione per gli ioni. Così s’è potuto lanciare SAX in orbita nella configurazione giusta per evitare questo inconveniente».
Quant’è grande, la camera SIM.PL.EX.?
«In tutto, nove metri cubi. Ma la zona dove si riproduce un ambiente omogeneo, utilizzabile per i test, è di circa un metro cubo».
Quali altre condizioni riesce a riprodurre?
«Oltre alla densità del plasma, e dunque l’altezza dell’orbita, grazie a un sistema di bobine molto estese riesce anche a sopprimere il campo magnetico terrestre e a generare campi noti in direzioni opportune. Per esempio, se è ortogonale al fascio di plasma, allora si ricrea la condizione di un satellite che sta attraversando la ionosfera, vedendo dunque un campo magnetico terrestre trasverso. Così da riprodurre non solo l’altezza, ma anche il tipo di orbita, per esempio equatoriale o polare».
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