Dopo un tramonto dalle insolite sfumature e il cielo che si vela di una nebbia ghiacciata, iniziano a scendere minuscoli cristalli di ghiaccio, una fredda polvere che si adagia sul suolo. È lo spettacolo a cui deve aver assistito il lander Phoenix su Marte nel 2008, un fenomeno che ha permesso di trarre illuminanti conclusioni sul cosiddetto “ciclo dell’acqua” del Pianeta Rosso.
Phoenix, che rimase operativo per 5 mesi, effettuò la sua missione analizzando il suolo e l’ambiente circostanti il punto in cui era atterrato. Le immagini che ottenne rivelarono la presenza di ghiaccio d’acqua nel suolo, ma restava da stabilire se questo si trovasse lì da tempi remoti o se fosse il risultato di qualche processo ancora in atto. I risultati di un altro tipo di indagine, condotta sempre da Phoenix, farebbero propendere per la seconda ipotesi, suggerendo anche per Marte la presenza di un ciclo dell’acqua o, per meglio dire, del ghiaccio d’acqua.
Nel corso di quattro diverse notti, infatti, il lander distolse la sua attenzione dal suolo e puntò un laser verde verso il cielo, registrando i dati osservativi grazie a due fotocamere. Le recenti analisi di quei dati, mostrano che la nebbia che si formò con il calare della notte conteneva circa 1,7 milligrammi di ghiaccio d’acqua per metro cubo. È stato quindi possibile ricostruire lo scenario di quelle notti. L’atmosfera del pianeta è così sottile da non essere in grado di trattenere il calore dopo il tramonto del Sole. La superficie, quindi, si raffredda molto in fretta. La parte di atmosfera più vicina al suolo gli cede il calore residuo, raffreddandosi a sua volta. In seguito a questo raffreddamento, il vapor d’acqua presente in atmosfera condensa in cristalli di ghiaccio e la nebbia si fa più densa. A un certo punto la nebbiolina comincia a scendere, come una polvere di particelle ghiacciate che va ad adagiarsi sul suolo e vi rimane fino al sorgere del Sole, quando il calore farà sublimare il ghiaccio, ovvero lo trasformerà nuovamente in vapore senza prima scioglierlo. Parte di questo vapore, tuttavia, non ritornerà all’atmosfera, ma resterà imbrigliato nel suolo dove andrà nel tempo ad aggiungersi a quel ghiaccio d’acqua rilevato dalle analisi di superficie effettuate da Phoenix.
“La presenza di nebbia” spiega John Moores, un dei co-autori dell’articolo pubblicato sul Geophysical Research Letters “significa che c’è una riserva di acqua atmosferica che interagisce giornalmente con la superficie del pianeta”.