Per studiare l’Universo al meglio non basta avere a disposizione i più grandi telescopi e i più sofisticati strumenti in circolazione. Lo sanno bene gli astronomi che ormai da decenni lavorano nei più remoti angoli della Terra, come le Ande cilene o le cime dei vulcani spenti sulle isole Hawaii e alle Canarie. Quelli sono infatti i posti migliori, dove il cielo è assolutamente privo di inquinamento luminoso e le condizioni atmosferiche sono ideali per il loro lavoro. Ma anche chi indaga il cosmo non nella banda della luce visibile ma delle onde radio ha problemi simili, se non peggiori. Il proliferare di sistemi di telecomunicazioni, dalle televisioni ai telefoni cellulari, stanno creando enormi problemi ai radioastronomi di tutto il mondo. La scelta di Pranu Sanguni nella regione del Gerrei in Sardegna, come sito dove installare il Sardinia Radio Telescope (SRT), il nuovo grande radiotelescopio italiano da 64 metri di diametro, non è stata casuale. Dopo lunghe ed attente analisi, quell’area è stata certificata come una tra le più “quiete” dal punto di vista della presenza di interferenze a radio frequenza, potenzialmente capaci di “accecare” i sensibilissimi strumenti di cui sarà dotato SRT.
Ma l’esperienza insegna che ogni oasi, sia essa naturalistica o astronomica, è sempre a rischio. Così è stato realizzato presso l’Osservatorio INAF di Cagliari MobLab. Un vero e proprio guardiano dell’etere a quattro ruote motrici, equipaggiato di tutto punto con strumentazione elettronica allo stato dell’arte. “Ad un primo sguardo potrebbe sembrare un normale furgone, seppure di grandi dimensioni, essendo lungo sei metri” dice Pietro Bolli, dell’Osservatorio Astronomico di Cagliari. “Quando però entra in azione, sollevando il palo telescopico che può raggiungere 11 metri di altezza, e alla cui estremità sono poste delle antenne orientabili, scopre la sua vera identità: quella di stazione mobile per il monitoraggio dell’occupazione della banda radio, in particolare quella compresa tra 300 MHz e 40 GHz”.
Ma è davvero così critico il disturbo che può essere indotto da segnali di natura “umana” nelle osservazioni radioastronomiche?
I radioastronomi osservano l’Universo in porzioni dello spettro elettromagnetico che sono adiacenti, ed alle volte addirittura sovrapposte, a tanti altri servizi di natura umana: ponti radio, radiodiffusione, telefonia cellulare e satellitare, per citare i principali. E l’intensità dei segnali provenienti dalle più remote sorgenti cosmiche e ricevuta a terra è drasticamente più bassa di qualunque emissione prodotta dall’uomo. Quanto? Più o meno un milione di miliardi di volte!
Questo concentrato di tecnologia potrebbe essere impiegato anche per scopi diversi dall’ambito prettamente astrofisico?
Sicuramente MobLab può essere impiegato efficacemente nel monitoraggio ambientale dei livelli di campo elettrico e magnetico, per verificare il rispetto della normativa in materia di inquinamento elettromagnetico. Ma può condurre anche verifiche di interferenze relative ad altri servizi utilizzati quotidianamente da ciascuno di noi. Per esempio, le missioni di ‘Capitan Ventosa’ a Striscia la Notizia sono attività molto simili a quelle che svolgiamo noi tutti i giorni!
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