Per scoprire “cosa c’è sotto” non sempre è necessario scavare. Nel caso di Io, la luna dei vulcani, non sarebbe nemmeno consigliato: a un certo punto ci si imbatterebbe in uno strato di magma fuso che, come un guscio molle, avvolge ciò che si trova a profondità maggiori. È lo scenario che emerge grazie a una nuova analisi dei dati ottenuti dalla sonda Galileo della NASA, presentata questa settimana in uno studio pubblicato sulla rivista Science.
Che su Io, una delle quattro maggiori lune del gigante Giove, ci fossero numerosi vulcani attivi, era noto fin dal 1979, quando a scoprirli fu la sonda Voyager 1 della NASA. Fin da subito non fu difficile capire che l’energia che si sprigiona attraverso l’attività vulcanica, scaturisse dalla continua azione mareale alla quale Giove sottopone Io. Ruotare intorno al gigante del Sistema solare significa, infatti, subirne l’intensa attrazione gravitazionale, venirne strizzati e tirati man mano che si percorre la propria orbita, risentendo anche dell’attrazione opposta esercitata dagli altri satelliti del pianeta. Io subisce quindi deformazioni globali e periodiche che producono sfregamenti e attriti interni, generano calore ed energia che si sprigiona in superficie attraverso l’attività vulcanica. Un’attività notevole: annualmente Io emette 100 volte più lava di quanta ne venga espulsa nello stesso periodo da tutti i vulcani della Terra.
Capire, tuttavia, che la lava che si riversa in superficie proviene da uno strato sotterraneo interamente costituito da magma e non da serbatoi localizzati, è stato possibile solo grazie alla recente analisi dei dati della sonda Galileo. L’oceano magmatico si troverebbe fra i 30 e i 50 Km di profondità, ma Galileo, grazie alla sua strumentazione, ha potuto rilevarne la presenza dall’alto della sua orbita. Il magma bollente, la cui temperatura probabilmente supera i 1.200 °C, è un eccellente conduttore elettrico che, una volta investito dal campo magnetico rotante di Giove, provoca dei segnali di “rimbalzo”.
Una sonda, dotata di magnetometro come lo era Galileo, è in grado di captarli. Il meccanismo è simile a quanto avviene quando il metal detector negli aeroporti segnala la presenza di oggetti metallici, registrando, anche in quel caso, i segnali che rimbalzano contro gli oggetti stessi.
La sonda Galileo entrò in orbita intorno a Giove nel ’95 e raccolse i dati, oggetto di queste conclusioni su Io, nel ’99 e nel 2000. All’epoca, tuttavia, non si disponeva ancora di un quadro sufficientemente dettagliato sul tipo di influenza che il campo magnetico di Giove ha su questa sua luna. Ora, grazie ai progressi che nel frattempo la ricerca ha fatto in questo campo, è stato possibile analizzare questi “vecchi” dati e giungere alla loro corretta interpretazione.