Non tutte le stelle dichiarano con facilità la loro età. Per questo c’è chi studia nuovi metodi per aggirare il problema e svelarne la vera età in qualsiasi situazione. Come nel caso di Soren Meibom, astronomo dell’ Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, che ha cercato di trovare una correlazione tra la velocità di rotazione di una stella su se stessa e la sua età effettiva. I risultati, presentati nel corso di una conferenza stampa al meeting dell’American Astronomical Society, hanno dimostrato che la strada è quella giusta.
Da tempo l’età delle stelle può essere ricavata con relativa facilità quando queste appartengono ad ammassi stellari, assumendo che si siano formate nello stesso periodo da una stessa nube iniziale di gas e polveri. Tutto però si complica nel caso di stelle che non si trovano in ammassi, per le quali è allora necessario trovare altri metodi. Tra le varie possibilità, Meibom e il suo gruppo di ricerca si sono concentrati sull’eventuale legame tra l’età di una stella e la sua velocità di rotazione su se stessa. Misurare la rotazione è possibile grazie alla presenza di macchie: sono zone che presentano temperature più basse rispetto al gas circostante, analoghe alle famose macchie solari. I nostri attuali strumenti non riescono a vedere direttamente le macchie sulle stelle lontane, però riescono a misurare la lieve diminuzione di luminosità che si registra ogni volta che la stella, girando su se stessa, si trova con le macchie lungo la nostra linea di vista. Da queste misure è così possibile risalire al tempo impiegato dalla stella per compiere una rotazione.
Trattandosi di variazioni di luminosità molto piccole, al punto che i telescopi a terra spesso non riescono a coglierle per colpa dei disturbi dovuti all’atmosfera, si è ricorsi al telescopio spaziale Kepler. Ideato per scovare in modo indiretto pianeti extrasolari proprio misurando le flebili variazioni di luminosità delle stelle, Kepler era l’ideale per questo tipo di ricerca. Per prima cosa si è puntato il telescopio verso le stelle, per lo più nane, dell’ammasso NGC 6811, la cui età è già nota con precisione: circa un miliardo di anni. In questo modo, dopo aver ricavato la velocità di rotazione di un sufficiente numero di stelle nane dell’ammasso si è potuto verificare che effettivamente esiste una relazione tra rotazione ed età, ottenendo una prima valutazione quantitiva. Il risultato è esposto in un articolo pubblicato su Astrophysical Journal Letters.
Questa è però solo la prima parte del lavoro, dalla quale si deduce che la strada intrapresa è quella giusta. Ora è necessario studiare altri ammassi stellari di diversa età se si vuole migliorare la relazione. Non sarà facile, soprattutto quando si studieranno stelle più vecchie che presentano poche macchie, per di più inferiori in grandezza rispetto a quelle sulle stelle meno “anziane”. Le variazioni di luminosità in gioco saranno quindi ancora più deboli e difficili da misurare anche da parte di un telescopio all’avanguardia come Kepler. Ma è una sfida che va affrontata se vogliamo portare la relazione rotazione- età a quel livello di attendibilità che ci permetterà di applicarla anche alle stelle non appartenenti ad ammassi. Solo a quel punto quella che già in molti chiamano la girocronologia diverrà una tecnica non più ipotetica ma concreta e affidabile.