Il Very Large Array (VLA) si trasforma e diventa l’Expanded Very Large Array (EVLA). Stesso impianto, stessa collocazione: 27 antenne da 25 metri di diametro e 230 tonnellate l’una, incolonnate nel deserto roccioso del New Mexico ad ascoltare l’Universo. La differenza non si vede
all’apparenza, ma nella sostanza cambia tutto. Le parabole di uno dei centri più importanti al mondo per gli studi di radioastronomia sono state potenziate con componenti elettroniche innovative, hardware e software di ultima generazione, cablate e collegate a un computer superveloce centrale. Una rivoluzione per le capacità di raccolta e analisi dei dati che consentiranno di spingersi oltre, molto oltre i limiti precedenti.
Il VLA è attivo dal 1980. Per più di 30 anni gli astronomi di tutto il mondo l’hanno utilizzato per studiare oggetti nel nostro Sistema solare fino a regioni distanti miliardi di anni luce dalla Terra. Ha permesso di osservare buchi neri e dischi protoplanetari, ha scoperto filamenti magnetici, disegnato le volute di gas nel centro della Via Lattea, testato parametri cosmologici e aperto nuovi orizzonti nei meccanismi delle emissioni radio. L’EVLA, che prenderà il suo posto, sarà 10 volte più sensibile alle deboli emissioni radio di oggetti astronomici distanti e riuscirà a coprire il triplo delle frequenze radio. Per avere un’idea, l’EVLA sarebbe in grado di recepire le onde di un cellulare su Giove.
Il progetto, costato quasi 100 milioni di dollari, sarà ultimato il prossimo anno, ma sono già diversi i gruppi di ricerca che hanno potuto testarne le potenzialità in anteprima. Tra questi, anche un gruppo italiano che lavora all’Osservatorio Astrofisico di Catania, guidati da Grazia Umana, dell’INAF-OA di Catania. “Abbiamo analizzato una giovane stella massiccia a circa 5.500 anni luce di distanza, circondata da almeno due gusci di materiale, espulso dalla stella stessa”, spiega la ricercatrice. “Le immagini radio EVLA hanno mostrato che lo strato più interno, formato essenzialmente da gas ionizzato, sta interagendo con gli strati circostanti, più freddi e contenenti grossi quantitativi di polvere, creando onde d’urto che giocano un ruolo molto importante nell’evoluzione della galassia”.
Un altro team di ricerca, guidato da Mark Claussen del National Radio Astronomy Observatory (NRAO), ha analizzato le onde radio emesse dalle molecole di cianoacetilene, (HC3N) per mappare i vari strati di materiale emesso da una stella gigante, ricostruendone la storia degli ultimi 800 anni. Altri studi hanno permesso di distinguere le emissioni dell’esplosione di una supernova da altre sorgenti. Volker Heesen, dell’Università di Hertfordshire, in Gran Bretagna, e colleghi hanno studiato una galassia nana, chiamata IC10, trovando una superbolla magnetica nella galassia. E ancora, è stato possibile mappare la distribuzione di monossido di carbonio in tre galassie primordiali, a 12 miliardi di anni luce, rivelando almeno un caso di collisione tra galassie.
A questi risultati, presentati nel corso del congresso dell’American Astronomical Society di Boston, sarà dedicato uno speciale su Astrophysical Journal Letters.