Una stella di grande massa, alla fine della sua evoluzione, che collassa e poi esplode, emettendo in pochi secondi nello spazio una quantità di radiazione pari a quella prodotta da tutte le stelle della nostra Galassia nell’arco di 100 anni. E’ quello che gli astronomi chiamano Lampo di raggi gamma (GRB, dall’inglese Gamma-Ray Burst). Un fenomeno violentissimo ma non raro, visto che finora i satelliti dedicati alla ricerca e all’osservazione dei GRB ne hanno registrati alcune migliaia. Quello però che è stato colto il 29 aprile del 2009 dal satellite Swift della NASA ha un qualcosa in più rispetto agli altri che lo rende davvero eccezionale: GRB 090429B – questa la sua sigla – dista infatti ben 13 miliardi e 140 milioni di anni luce da noi. Il fenomeno è dunque avvenuto ‘solo’ 500 milioni di anni dopo il Big Bang: è la più distante esplosione cosmica mai osservata e potrebbe essere in assoluto l’oggetto più lontano nel tempo e nello spazio conosciuto finora.
L’aprile del 2009 è stato davvero un mese d’oro per i ‘cacciatori’ di lampi gamma. Il giorno 23 era stato già osservato un lampo di raggi gamma per il quale due team internazionali di ricercatori (uno dei quali guidato da astronomi dell’INAF) avevano misurato spettroscopicamente una distanza di 13,04 miliardi di anni luce, un valore che gli aveva consegnato il titolo di esplosione cosmica più distante. Sin dalla sua prima identificazione da parte del satellite Swift, anche GRB 090429B ha subito mostrato caratteristiche molto simili all’evento precedente, come la sua durata e la sua debole emissione nei raggi X che ha seguito il lampo, denominata afterglow.
Ma per conoscere meglio sue le proprietà, bisogna indagare più a fondo. Ecco allora che, con una procedura automatizzata, vengono immediatamente allertati gli osservatori a Terra per seguire l’evoluzione nel tempo del flusso della radiazione proveniente dal GRB. Le prime osservazioni effettuate coi telescopi GROND e VLT, installati sulle Ande cilene, non rivelano alcun afterglow, suggerendo che possa trattarsi di un evento intrinsecamente debole o molto distante. A seguire, entrano in scena le osservazioni del telescopio Gemini da 10 metri di diametro sul vulcano Mauna Kea alle Hawaii, coordinate da Antonino Cucchiara, ricercatore italiano all’epoca presso la Penn State University e ora a Berkeley. Queste osservazioni rilevano la presenza dell’afterglow del lampo nella banda della radiazione infrarossa ma non nella luce visibile. Un’ulteriore conferma che quel lampo era stato originato agli estremi confini dell’Universo.
Ma ancora non si poteva dare una conferma sull’origine di questo evento. Nel caso di GRB 090429B, vi era infatti una marginale probabilità che la sorgente fosse invece molto più vicina, ma schermata da una notevole quantità di polvere e gas intorno ad essa. Questo ‘guscio’ avrebbe potuto bloccare gran parte della radiazione visibile, facendo apparire la sorgente del lampo molto più lontana di quanto fosse in realtà. Per risolvere questa ambiguità è stato messo in campo il telescopio spaziale Hubble e sono stati utilizzati altri indicatori di distanza. “Il mio contributo allo studio del GRB 090429B sta nell’aver utilizzato la correlazione tra la lunghezza d’onda alla quale è massima l’energia trasportata dai raggi X e gamma emessi dal lampo e la sua luminosità, un’importante proprietà scoperta nel 2002 da un gruppo di ricercatori italiani a seguito di uno studio, da me coordinato, dei dati del satellite BeppoSAX,” dice Lorenzo Amati, ricercatore dell’INAF-IASF di Bologna. “Anche questa indagine ci ha permesso di escludere la possibilità di un lampo gamma molto più vicino di quanto apparisse. Abbiamo così avuto una conferma indipendente che l’evento è stato davvero prodotto all’alba dell’Universo”.
E anche Paolo D’Avanzo, postdoc dell’Osservatorio Astronomico INAF di Brera, coautore insieme ad Amati e altri ricercatori dell’articolo sullo studio di GRB 090429B in pubblicazione sulla rivista The Astrophysisical Journal, è convinto dell’importanza che questa scoperta ha per comprendere meglio i processi avvenuti nelle prime fasi dell’evoluzione dell’Universo: “Ancora una volta i lampi di raggi gamma dimostrano di essere tra gli strumenti più promettenti per indagare l’Universo primordiale, ed è ragionevole aspettarci che in un prossimo futuro lo studio di questi eventi possa fornirci preziose informazioni sui processi di formazione delle prime stelle e delle prime galassie”.
Per saperne di più:
Leggi il comunicato stampa INAF
Accedi al press kit con immagini, animazioni e interviste audio