Prendete quattro grossi gruppi di galassie, fateli scontrare a lungo, almeno 350 milioni di anni, ed otterrete così l’oggetto celeste denominato Abell 2744. Ecco, in estrema sintesi, la ricetta formulata dagli astronomi per spiegare come si è formato un gigantesco ammasso galattico distante quasi 3 miliardi e mezzo di anni luce da noi.
Questo scenario emerge da una approfondita campagna osservativa che ha visto impiegati alcuni tra i più potenti strumenti per studiare l’universo di cui disponiamo oggi: il Very Large Telescope dell’ESO, il telescopio giapponese Subaru, i telescopi spaziali Hubble e Chandra. I risultati sono in corso di pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Ma perché tanta attenzione su questo oggetto celeste? La risposta sta tutta nel simpatico nomignolo affibbiatogli dai ricercatori: “ammasso di Pandora”. Proprio come il mitologico vaso, “Abell 2744 si sta rivelando come un gigantesco laboratorio naturale dove si possono studiare i processi di formazione delle strutture nell’universo e l’interazione prodotta dallo scontro tra differenti tipi di materia” dice Julian Merten, uno degli scienziati che ha guidato lo studio, post-doc presso l’Osservatorio Astronomico INAF di Bologna fino a settembre dello scorso anno, dove ha sviluppato il software usato per la ricostruzione della distribuzione di massa di Abell 2744. Ricostruzione materialmente fatta presso il centro di calcolo dell’Osservatorio Astronomico di Bologna.
Le galassie che compongono l’ammasso sono chiaramente visibili nelle immagini raccolte da VLT e Hubble. Sebbene molto brillanti, queste strutture contribuiscono per meno del 5 % alla massa complessiva di Abel 2744. Il resto è composto da gas caldo (circa il 20%), tanto caldo da essere ben visibile solo nei raggi X, mentre un 75 % circa è attribuito alla materia oscura, che è completamente invisibile a qualunque strumento.
È dunque la combinazione di osservazioni in “finestre” differenti, che permettono di studiare in modo selettivo e quindi separare le diverse componenti dell’ammasso l’arma vincente utilizzata per indagare i segreti di Abell 2744. In particolare il team si è concentrato proprio nello studio della elusiva materia oscura.
“Per individuare la sua presenza e la sua distribuzione abbiamo usato il fenomeno della lente gravitazionale, che produce una deflessione della traiettoria dei raggi luminosi dovuto al fortissimo camppo gravitazionale presente nell’ammasso” dice Massimo Meneghetti, dell’Osservatorio Astronomico di Bologna, tra i coautori dello studio. “Con questa tecnica siamo riusciti a vedere che l’ammasso è in realtà costituito da quattro sottostrutture massicce contenute in una regione di circa 3 milioni di anni luce di lato”.
Ma l’ “ammasso di Pandora” sta rivelando molti altri segreti agli astronomi, che hanno osservato fenomeni solo in parte già registrati in altre parti dell’universo. In prossimità della zona centrale dell’ammasso, è stato individuato un ‘proiettile’ dove il gas di due delle sottostrutture è entrato in collisione, creando una gigantesca onda d’urto, lasciando però imperturbata la materia oscura presente in zona. In un’altra regione dell’ammasso sembrano coesistere galassie, quindi materia ordinaria, e materia oscura, ma non gas ad alta temperatura. Forse lì il gas è stato portato via dagli effetti della collisione, lasciando di esso non più che una flebile scia.
“Abell 2744 è, per le sue peculiarità, un oggetto di estrema rilevanza per la cosmologia” commenta Meneghetti. “In primo luogo esso rappresenta una chiara conferma del modello gerarchico di formazione delle strutture cosmiche, secondo cui gli oggetti più massicci, come gli ammassi si galassie, si originano da ripetute collisioni e fusioni di oggetti di massa più piccola. Inoltre, la sua complessa struttura permette di studiare l’interazione tra materia oscura, gas e stelle sotto molteplici linee di vista, consentendoci anche di studiare la natura della materia oscura o di verificare teorie alternative che spiegano i fenomeni legati alla forza di gravità”.