Da pochi millisecondi sino a parecchi minuti. Questa la durata dei Gamma Ray Burst (GRB), lampi improvvisi di radiazione gamma catalogati tra i fenomeni più energetici e violenti dell’Universo. In media i nostri strumenti possono individuarne anche tre al giorno, ma data l’imprevedibilità della loro comparsa e la rapidità della successiva scomparsa, occorre avere la fortuna di stare puntando al momento giusto proprio nella direzione dove ne apparirà uno, oppure di avere a disposizione un telescopio spaziale come Swift in grado di girarsi velocemente verso il lampo.
Sui GRB c’è molto da dire e molto ancora da studiare, come viene riassunto in un articolo in pubblicazione su Il Nuovo Cimento, rivista internazionale dedicata alla Fisica. Gli autori, Enrico Costa dell’ INAF-IASF di Roma e Filippo Frontera dell’ Università di Ferrara, partono dalla prima scoperta di un GRB, avvenuta per caso negli anni ’60 da parte di un satellite spia americano impegnato a individuare le tracce di eventuali esperimenti nucleari dell’Unione Sovietica. Per molti anni quell’osservazione di un’esplosione gamma proveniente dallo spazio profondo rimase un segreto militare chiuso nel cassetto, sino a quando non venne chiesto agli scienziati di capire la vera natura del fenomeno.
Non fu un’impresa facile, considerato che per oltre vent’anni la misura della distanza dei lampi gamma rimase incerta, così come la loro effettiva origine. Il punto di svolta si ebbe con il satellite italiano BeppoSAX: dopo appena sei mesi dal lancio, avvenuto il 30 aprile 1996, riuscì a fornire le misure e le osservazioni utili a rispondere a una buona parte delle domande. “Il nostro articolo parte dal passato e si concentra sulle scoperte effettuate dai nostri team di ricerca attorno al 1997 grazie a BeppoSAX”, commenta Enrico Costa, che tra l’altro poche settimane fa ha vinto un importante premio proprio per aver contribuito a stabilire l’origine extragalattica dei GRB.
“Dalle analisi di quelle osservazioni abbiamo scoperto che i Gamma Ray Burst hanno origine in galassie molto distanti. Alcuni sono legati alle supernovae, stelle massicce che esplodono al termine del loro evoluzione”. Non tutti i lampi gamma hanno però un legame di questo tipo. “Oggi c’è la tendenza a dividere i burst in lenti e veloci“, spiega Costa. “I lenti durano più di un secondo e si ritiene siano originati dalla classica supernova, ovvero dall’esplosione dovuta al collasso di una stella di massa qualche decina di volte quella del Sole. I burst veloci durano invece qualche frazione di secondo e sembra possano essere conseguenza della fusione di due stelle di neutroni. Meglio dire “sembra” perché quando si parla di GRB c’è poco di sicuro. Direi che la strada è ancora lunga, c’è ancora molto da studiare”.