Era il 1916 quando Albert Einstein, appena trentasettenne, pubblicò la sua teoria della Relatività Generale. Una vera rivoluzione nella scienza moderna e in particolar modo nell’astrofisica e nella cosmologia, che di fatto ha gettato le basi per scoprire, studiare e comprendere i fenomeni più estremi che avvengono nell’universo. Nonostante il grande consenso ed alcune importanti conferme sperimentali, alcuni aspetti di questa teoria ancor oggi presentano degli aspetti ancora poco chiari che sono fonti di acceso dibattito nella comunità scientifica. Uno di questi riguarda le cosiddette singolarità, ossia regioni dello spaziotempo in cui le leggi della fisica cessano di funzionare, che scaturiscono dalla soluzione delle equazioni della Relatività Generale. Ora, una nuova teoria della Gravità è in grado di riprodurre tutti i test classici della teoria di Einstein, ma senza introdurre singolarità come, ad esempio, il Big Bang o l’interno dei buchi neri. La conferma arriva dai risultati un articolo appena pubblicato online sul sito della rivista Physical Review Letters.
“Modificando le equazioni della Relatività Generale quando ci si trova a descrivere situazioni in cui le densità di materia ed energia in una stella sono elevatissime, entra in gioco una nuova ‘forza gravitazionale repulsiva’, grazie alla quale l’evoluzione finale del corpo celeste non produce nessuna singolarità”. A parlare è Paolo Pani, ricercatore italiano appena ventisettenne, primo autore dell’articolo. Nonostante l’età, Pani, che ha conseguito laurea e dottorato all’Università di Cagliari e oggi lavora presso il Dipartimento di Fisica dell’Istituto CENTRA di Lisbona, è già conosciuto a livello internazionale per i suoi studi sulla Relatività.
Uno degli intriganti risultati di questa rivisitazione della teoria è quello di predire l’esistenza di vere e proprie “stelle di materia oscura“, ossia oggetti compatti che sono invisibili ai telescopi, ma che contribuiscono alla quantità totale di materia oscura della nostra Galassia. Queste stelle sono ovviamente uniche nel loro genere e, se fossero effettivamente osservate, confermerebbero questa scoperta, risolvendo un problema aperto da quasi cent’anni, da quando cioè il fisico Subramanyan Chandrasekhar propose l’idea che le stelle molto massive, dopo aver esaurito il combustibile nucleare, non fossero più in grado di sostenere la loro gravità e dovessero collassare formando un buco nero e quindi una generare una singolarità al suo interno. Non tutti, anche allora, accolsero questa spiegazione con entusiasmo. Sir Arthur Eddington, uno dei padri dell’astrofisica contemporanea, ne fu infatti un feroce oppositore. Nel 1935 egli dichiarò: “Deve esistere una legge della Natura che impedisca alle stelle di comportarsi in questa maniera assurda!”. Dopo oltre 20 anni dalla disputa con Eddington però, le idee di Chandrasekhar prevalsero e diedero vita ad una elegante teoria che descrive buchi neri e stelle compatte. Elegante, si, ma evidentemente non del tutto inattaccabile.
“Noi siamo partiti per certi versi da questa disputa, proponendo la nostra versione della teoria della gravitazione. Il lavoro da fare tuttavia è ancora tanto” prosegue Pani. “Ad esempio, sappiamo che questa teoria modificata ci libera dalle singolarità, ma non sappiamo con precisione in che stato viene a trovarsi la materia, in equilibrio in condizioni di densità ed energia elevatissime. C’è poi bisogno di fare verifiche sperimentali, e in questo ambito stiamo coinvolgendo altri colleghi: una nostra idea è quella di verificare se ci sia accordo tra la predizione della nostra teoria sul flusso dei neutrini prodotti dal nostro Sole con le osservazioni”.
Per saperne di più:
Ascolta l’intervista di Media INAF a Paolo Pani
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