And I think it’s gonna be a long long time, pronosticava il “Rocket Man” dell’omonima canzone di Elton John in procinto di partire per Marte. A tormentarlo, la solitudine d’un volo interminabile, la nostalgia per la Terra e per la moglie. E il terrore di scoprire – una volta rientrato – di non essere più quello di prima. Una visione angosciante, che lo porta infine a temere per il proprio equilibrio mentale. Una visione in qualche modo profetica: ora che l’ipotesi d’una spedizione umana verso Marte si fa sempre più concreta, al punto che con il progetto Mars500 già se ne stanno simulando gli effetti sugli astronauti, proprio ai risvolti psicologici ed emotivi delle missioni spaziali la NASA ha dedicato una raccolta di saggi, intitolata “Psychology of Space Exploration: Contemporary Research in Historical Perspective”.
«Lo scopo è quello di fornire una panoramica completa su questo argomento così complesso, proponendo nuovi spunti sia ai ricercatori del comportamento sia agli storici», spiega Bill Barry, della NASA, sottolineando quanto i requisiti psicologici per essere un buon astronauta siano cambiati dagli anni Sessanta a oggi. «Si tratta di dati importanti, visto che stiamo lavorando per mandare astronauti su Marte, il che significa missioni lunghissime, senza la possibilità di comunicare in tempo reale con parenti e amici, aumentando così la possibilità di stress psicosociale».
Potenziali fonti di stress e per di più senza vie di fuga, gli “ambienti-capsula” – così vengono definiti i contesti isolati e confinati – non fanno per tutti, anzi. Diventa allora cruciale la prevenzione, ovvero un processo di selezione estremamente accurato dei membri del team. Qual è dunque il profilo psicologico del candidato ideale per missioni di lunga durata? «È fondamentale avere un elevato livello di stabilità emotiva. Quindi, capacità di tollerare situazioni di stress e di frustrazione», dice Denise Giuliana Ferravante, ricercatrice dell’ENEA e psicologa, «nonché un’ottima capacità di adattamento e disponibilità a vivere con poche altre persone per lunghi periodi di tempo».
Già, perché per quanto possa sembrare paradossale, uno dei maggiori problemi dell’isolamento non è tanto la solitudine, che pure si fa sentire, quanto il suo contrario: l’essere costretti a stare per periodi prolungati fianco a fianco sempre con lo stesso piccolo gruppo di persone. «Proprio per questo motivo, sia nelle basi antartiche sia nelle missioni spaziali si cerca di preservare la privacy. Nell’esperimento Mars500, per esempio, ognuno ha la sua stanza. Si tratta di spazi piccolissimi, certo, ma permettono alla persona di starsene per un po’ da sola, per conto suo. In Antartide questa possibilità è ancora maggiore: la base italo-francese è abbastanza grande da permettere a ogni ricercatore, a ogni partecipante, di avere un proprio spazio in cui potersi ritirare nei momenti in cui non lavora. E questo è fondamentale, per l’equilibrio psicofisico», sottolinea Ferravante.
Due “ambienti-capsula”, quello delle basi antartiche e quello di Mars500 (una facility non distante da Mosca, messa a punto dall’ESA e dal Russian Institute for Biomedical Problems, all’interno della quale è in corso un esperimento dedicato a studiare le reazione di sei astronauti a un viaggio simulato verso Marte), che Denise Ferravante conosce bene. Come psicologa, infatti, è stata in Antartide per effettuare il debriefing di un team al termine d’una spedizione invernale: in quell’occasione, lei e una sua collega francese sono state le prime persone che i membri del gruppo, reduci da un isolamento durato un anno, hanno incontrato e con le quali hanno potuto parlare. Quanto a Mars500, Ferravante partecipa al gruppo di ricerca del progetto LODGEAD, dedicato alla valutazione dell’impatto delle situazioni di confinamento sui processi cognitivi.
Ferravante, in particolare, si occupa di registrare e valutare, attraverso la lettura dei diari tenuti dai sei astronauti rinchiusi nella facility di Mars500, le variazioni dello stato emotivo. Dell’esperimento da 520 giorni di durata non può rivelarci alcunché, visto che è ancora in corso (terminerà il prossimo 5 novembre). Ma da quello pilota che lo ha preceduto, durato 120 giorni, sono emersi aspetti interessanti. «Anzitutto, occorre dire che le persone hanno mantenuto un buon livello di benessere psicologico. Le relazioni, all’interno del gruppo, sono state gestite in maniera molto efficace. Ovviamente, però, il senso di solitudine e d’isolamento, mano a mano che si andava avanti con l’esperimento, è aumentato. Rispetto alle nostre ipotesi iniziali, quello che abbiamo verificato è che c’è stato un impatto sui processi cognitivi. Per esempio, le persone coinvolte tendevano a dare la stessa importanza sia ad informazioni rilevanti che ad altre meno rilevanti. Parliamo di sfumature, non sono fenomeni macroscopici. Però sarà interessante vedere se nei 520 giorni d’isolamento questo dato si confermerà e in che modo».
Indagini, queste di Mars500, con potenziali ricadute anche per noi che difficilmente metteremo mai piede su un’astronave. Valutare come si modificano le prestazioni cognitive in condizioni d’isolamento, infatti, è d’estremo interesse non solo per quanto riguarda gli astronauti o le persone che lavorano in Antartide. «Studiare le prestazioni, le performance di tipo cognitivo, in ambienti confinati», osserva Ferravante, «può essere utile anche per i lavori che si svolgono qui sulla Terra. Per esempio, per professioni nelle quali si lavora in situazioni di emergenza, come succede ai vigili del fuoco: situazioni che richiedono d’elaborare informazioni e prendere decisioni in maniera molto rapida e stabilendo priorità».
Per saperne di più:
- Ascolta l’intera intervista di Media INAF a Denise Giuliana Ferravante
- Il volume della NASA, Psychology of Space Exploration: Contemporary Research in Historical Perspective, in formato PDF
- “Viaggio insonne verso Marte“, un articolo di Denise Giuliana Ferravante pubblicato sul Sole24Ore
- “Missione scientifica in Antartide: ricerca psicologica in ambiente estremo“, un articolo di Denise Giuliana Ferravante pubblicato sulla rivista dell’ENEA Energia, ambiente e innovazione