Sono le galassie che contiene la sorgente energetica che rende luminoso il gigantesco “blob Lyman Alfa, una singolare nube di gas dell’Universo primordiale, una delle più grandi di questo tipo ad oggi conosciute. Il risultato è stato reso possibile grazie a osservazioni fatte con il Very Large Telescope dell’ESO e sarà pubblicato nel numero di questa settimana di Nature.
I “blob Lyman-alfa” sono tra gli oggetti più grandi nell’Universo: sono gigantesche nubi di idrogeno gassoso che raggiungono il diametro di alcune centinaia di migliaia di anni luce (alcune volte la dimensione della Via Lattea) e che sono potenti come le galassie più brillanti. Si trovano tipicamente a grandi distanze, così li vediamo come erano quando l’Universo aveva soltanto pochi miliardi di anni. Sono perciò fondamentali per la nostra comprensione di come le galassie si siano formate e siano evolute quando l’Universo era più giovane. La sorgente energetica della loro estrema luminosità e la vera natura dei “blob” sono però finora rimaste incerte.
L’equipe ha scoperto che la luce emanata da uno di questi “blob” è polarizzata. Questa è la prima volta che si osserva polarizzazione in un “blob Lyman-alfa” e questi dati servono a svelare il mistero della fonte di illuminazione di queste concentrazioni di gas.
Abbiamo mostrato per la prima volta come la luminosità emessa da questo oggetto enigmatico sia semplicemente luce diffusa, prodotta dalle galassie nascoste al suo interno, piuttosto che il gas stesso della nube che risplende spiega Matthew Hayes (Università di Tolosa, Francia), primo autore dell’articolo.
L’equipe ha scelto per il suo studio uno dei blob più brillanti, noto come LAB-1, tra i primi ad essere scoperto nel 2000. È così lontano che la sua luce ha impiegato 11.5 miliardi di anni a raggiungerci. È anche uno dei più grandi che si conoscano, con un diametro di circa 300 000 anni luce, e contiene diverse galassie primordiali, tra cui una galassia attiva.
Vi sono più teorie che cercano di spiegare la luminosità dei “blob Lyman-alfa”, tra queste una prevede che la luminosità sia prodotta dal gas freddo che viene attirato dalla gravità del “blob” e quindi riscaldato; un’altra che brillino a causa degli oggetti luminosi all’interno: galassie con alta formazione stellare o che contengono a loro volta voraci buchi neri che fagocitano materia. Le nuove osservazioni mostrano che sono proprio le galassie all’interno del blob, e non il gas che viene riscaldato, a far risplendere LAB-1.
L’equipe ha infatti confrontato le due teorie verificando misurando se la luce dei blob era polarizzata. Grazie allo studio di come la luce venga polarizzata gli astronomi possono capire i processi fisici che l’hanno prodotta.
Grazie a un’osservazione di circa 15 ore con il VLT, l’equipe ha scoperto che la luce di LAB-1 era polarizzata in una zona a forma di anello intorno alla regione centrale, mentre non c’era polarizzazione al centro. Questo effetto è praticamente impossibile da produrre se la luce semplicemente viene prodotta dal gas che cade sotto l’effetto della gravità. È invece esattamente ciò che ci si aspetta se la luce viene originariamente prodotta dalle galassie della regione centrale e poi dispersa dal gas.
Per saperne di più:
- Vai al comunicato stampa dell’ESO in italiano
- Leggi l’articolo “Central powering of the largest Lyman-α nebula is revealed by polarized radiation“, di Matthew Hayes, Claudia Scarlata & Brian Siana