Nell’universo che osserviamo oggi le galassie sembrano produrre stelle a un ritmo non troppo elevato e soprattutto in modo continuo. E così avviene anche nella nostra Galassia, dove ogni anno si accendono poco più che una manciata di nuove stelle simili al Sole. A volte però può capitare che scontri tra galassie e le loro conseguenti fusioni creino le condizioni ideali, come la presenza di zone ricche di gas denso, per innescare fenomeni di super produzione di nuovi astri. Quello che gli astronomi chiamano “starburst”.
Ma questo clima ‘idilliaco’ ha sempre accompagnato la formazione di nuovi astri o ci sono stati momenti in cui l’universo ha visto nascere stelle soprattutto dagli ‘starburst’? Una domanda fondamentale per gli astronomi che studiano la storia e l’evoluzione del cosmo e a cui ha fornito nuove importanti conclusioni uno studio guidato da Giulia Rodighiero, dell’Università di Padova e a cui hanno preso parte ricercatori dell’INAF, recentemente pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal Letters. Il team ha concentrato la sua attenzione su un campione molto grande di galassie, osservate nell’infrarosso dal satellite Herschel dell’ESA ad un’epoca in cui l’Universo aveva tra 2,5 e 4,5 miliardi di anni e durante la quale il tasso di formazione stellare nel cosmo era vicino al suo picco massimo.
“I risultati del nostro lavoro indicano che i processi graduali di formazione stellare che avvengono nelle galassie a disco sono predominanti rispetto agli ‘starburst’ guidati da scontri galattici” commenta Giulia Rodighiero. “In ogni caso, gli starburst rimangono molto probabilmente un fenomeno importante per comprendere le proprietà delle stelle e le strutture delle galassie nell’Universo locale”. Un risultato particolarmente significativo perché, nel periodo preso in esame, le interazioni tra galassie massicce erano molto più comuni di quanto non lo siano oggi, e avrebbero potuto teoricamente fornire un contributo determinante in quell’epoca di formazione stellare.
“Prima di queste osservazioni con Herschel la maggior parte degli astronomi era incline a ritenere salomonicamente che il modo continuo, quasi stazionario di formazione stellare e quello a ‘starburst’’ contribuissero in misura analoga (circa 50 e 50%) alla crescita della massa in stelle nelle galassie” sottolinea Alvio Renzini, associato INAF presso l’Osservatorio Astronomico di Padova, che ha partecipato al lavoro. “Sappiamo ora invece che appena il 2% circa della galassie nell’Universo giovane sono in fase di ‘starburst’, e queste contribuiscono solo il 10% circa del tasso complessivo di formazione di nuove stelle. Come dire, conta di più la massa delle galassie relativamente anonime, piuttosto che le poche in fase esplosiva”.
Nel team di ricercatori che ha condotto lo studio hanno partecipato anche Adriano Fontana, Andrea Grazian, Roberto Maiolino e Paola Santini (INAF-OA Roma), Carlotta Gruppioni e Giovanni Zamorani (INAF-OA Bologna), Manuela Magliocchetti (INAF-IFSI Roma).
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