In bottiglia o dal rubinetto? Con o senza purificatore? Quale che sia la scelta, quando si tratta di acqua da bere quel che è certo è che tutti pretendiamo, giustamente, controlli rigorosi che ne garantiscano il massimo della qualità. A maggior ragione sulla Stazione spaziale, dove il riciclo esasperato – imposto dalla difficoltà e dal costo proibitivo dei rifornimenti – porta a soluzioni a dir poco estreme: come il sistema ECLSS (Environmental Control and Life Support System), in grado di estrarre acqua potabile persino da urina e sudore. Il problema è che, anche per eseguire gli indispensabili test, l’ISS non è l’ambiente ideale. Tanto che fino a oggi era necessario inviare periodicamente i campioni a Terra. Ma da fine settembre le cose dovrebbero cambiare. L’annuncio arriva dai ricercatori della Iowa State University e dell’Ames Laboratory: sponsorizzati dalla NASA, sono riusciti a comprimere in un dischetto da un centimetro di diametro un intero laboratorio di chimica, in grado di eseguire analisi quantitative in tempo reale e in assenza di gravità.
Alla base del sistema, una tecnologia nota come spettroscopia in riflettanza diffusa, che grazie a un processo d’estrazione colorimetrica in fase solida permette di misurare, nel giro d’un minuto, la concentrazione d’una determinata molecola nel campione d’acqua d’analizzare. L’apparecchio che esegue la misura è abbastanza piccolo da poter essere tenuto in mano. Quanto al campione, è sufficiente deporre sul dischetto ideato dai ricercatori 10 millilitri d’acqua. In particolare, le prime applicazioni saranno orientate a rilevare la presenza di tracce di iodio molecolare (I2), il disinfettante adottato dalla NASA per inibire il proliferare di microorganismi nelle riserve di acqua potabile della ISS: mano a mano che la sua concentrazione cresce, il colore del dischetto virerà dal bianco al rosso, passando per il giallo e l’arancione. Ma sono già pronti anche i dischetti sensibili all’argento, il battericida d’elezione dell’agenzia spaziale russa (RFSA) per proteggere l’acqua della ISS.
«Una volta compresa la chimica necessaria, l’abbiamo convertita in una forma adatta a essere usata nello spazio», spiega Bob Lipert, dello Iowa State Institute for Physical Research and Technology. «Lo stesso abbiamo fatto con le tecniche di laboratorio, semplificandole il più possibile. Infine, abbiamo sviluppato procedure che possono essere utilizzate in assenza di gravità». Il risultato è un test rapido, accurato e poco dispendioso, sia come quantità d’acqua potabile richiesta che come tempo sottratto agli astronauti per l’analisi.
Dopo una campagna di prove durata due anni, ora l’hardware del kit per il test dell’acqua è certificato, e già fa parte della cassetta degli attrezzi di monitoraggio ambientale della Stazione spaziale. Secondo Lipert, la stessa tecnologia potrà trovare numerose applicazioni anche sulla Terra: in ambito forense, per esempio, o nelle analisi ambientali sui metalli pesanti. Ma anche per verificare che non ci siano tracce di pesticidi e diserbanti nell’acqua che beviamo.